CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 febbraio 2022, n. 5059
Tributi – Operazioni soggettivamente inesistenti – Onere di prova a carico dell’amministrazione finanziaria – Oggettiva fittizietà del fornitore e consapevolezza del destinatario
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia I’11 novembre 2019 n. 6426/16/201, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relativa all’anno d’imposta 2007, in dipendenza dell’indebita detrazione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti della “S. G. Soc. Coop. a r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Messina il 7 luglio 2011 n. 514/11/2011, con compensazione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di prime cure, sul presupposto che le risultanze istruttorie avessero confermato l’effettività delle operazioni relative all’acquisto di bestiame. La “S. G. Soc. Coop. a r.l.” si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La controricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
Con unico motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che le operazioni documentate dalle fatture emesse dal terzo fornitore fossero reali e non fittizie.
Ritenuto che
1. Il motivo è infondato.
1.1 È pacifico che, in tema di IVA, l’amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (valorizzando, ad esempio, la circostanza che la prestazione non poteva essere effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito della sia pur minima dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione); ove l’amministrazione finanziaria assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. 5^, 4 febbraio 2020, n. 2483; Cass., Sez. 5^, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. 5^, 13 gennaio 2021, n. 336).
1.2 Nella specie, in conformità al principio enunciato, il giudice di appello ha accertato l’estraneità della contribuente ad ogni coinvolgimento nelle operazioni soggettivamente inesistenti, valutando l’irrilevanza presuntiva delle circostanze dedotte dall’amministrazione finanziaria in sede di accertamento, in particolare la mancanza di una sede operativa adeguata allo svolgimento dell’attività commerciale e la omissione della tenuta della contabilità. Secondo la sentenza impugnata, infatti, «nella fattispecie in esame, l’unica circostanza valorizzata in sede di accertamento dai verificatori è quella secondo cui la società cedente non aveva “mai avuto una sede operativa adeguata allo svolgimento dell’attività asseritamente svolta, né tenuto conto della contabilità”; tale circostanza, a giudizio di questa Commissione, è da sé sola inidonea a costituire prova presuntiva dello stato soggettivo del contraente, di “consapevolezza che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta”». Difatti, le circostanze poste a base dell’accertamento della polizia tributaria (peraltro, non riprodotte in ricorso ai fini dell’autosufficienza) non sono idonee a presumere la conoscibilità per il contribuente della natura fittizia delle cessioni di bestiame.
2. Valutandosi la infondatezza del motivo dedotto, dunque, il ricorso deve essere rigettato.
3. Le spese giudiziali seguono la soccomberiza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo. Se ne dispone, altresì, la distrazione a favore del difensore antistatario della parte vittoriosa, il quale ha dichiarato di aver anticipato gli esborsi e di non aver riscosso i compensi.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi ed € 5.600,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge, e distraendole a favore del difensore antistatario della controricorrente, Avv. F.L. da Barcellona Pozzo di Gotto (ME), per dichiarato anticipo.