Corte di Cassazione ordinanza n. 19115 del 14 giugno 2022
IVA – operazioni soggettivamente inesistenti – operazioni oggettivamente inesistente
RILEVATO CHE
-l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Calabria aveva, previa riunione, rigettato l’appello nei confronti di C.
s.r.l. avverso la sentenza n. 3403/06/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza con la quale, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F. nei confronti della ditta Promotion di V.G., aveva recuperato a tassazione nei confronti della contribuente per l’anno 2006-2008, costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap, e detratti, ai fini Iva, in relazione a fatture asseritamente fittizie emesse dalla ditta GV Promotion afferenti ad operazioni ritenute inesistenti;
-la CTR, per quanto di interesse- nel disattendere la tesi dell’Ufficio basata sulle risultanze del p.v.c. della G.d.F. elevato nei confronti della ditta GV Promotion di V.G., quale emittente di fatture asseritamente soggettivamente e oggettivamente inesistenti – ha osservato che quanto esposto negli avvisi di accertamento in questione (circa la mancata presentazione da parte della ditta Promotion di alcuna dichiarazione fiscale, la mancata registrazione delle fatture emesse e ricevute, la mancanza di fatture di acquisto di beni e di costi, comunque, fatturati come vendite e/o prestazioni di servizi; inesistenza di beni strumentali presso la sede; pagamenti per cassa in contanti da parte della maggior parte dei clienti; fatture esibite con una doppia numerazione e date discordanti) non riguardava assolutamente la C. s.r.l. la quale aveva tenuto una regolare contabilità, registrando le fatture di acquisto ricevute dalla ditta Promotion e provvedendo al relativo pagamento a mezzo assegni bancari tracciati nei prodotti estratti conto; anche il Tribunale di Cosenza, con sentenza penale n. 1828/2014 aveva assolto i legali rappresentanti della società contribuente in ordine al reato di illecito utilizzo delle fatture contestate negli avvisi;
-la contribuente resiste con controricorso;
-sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis
cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
– la controricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente priva di pregio è l’eccezione di inammissibilità del motivo di ricorso, ribadita in memoria, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., palesandosi quest’ultimo autosufficiente in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce le ragioni a sostegno dello stesso, con espressa menzione degli atti processuali su cui si fonda che si sostanziano negli stessi avvisi di accertamento, riportanti stralcio del p.v.c. della G.d.F. nei confronti della ditta Promotion di V.G..
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, del P.R. n. 600/73, 2729 c.c., 2697 c.c. per avere la CTR – a fronte di plurimi elementi presuntivi emersi in sede di verifica fiscale nei confronti della ditta Promotion emittente le fatture afferenti ad operazioni asseritamente inesistenti – erroneamente ritenuto, da un lato, non assolto l’onere della prova a carico dell’Ufficio circa la fittizietà della fatturazione, e, dall’altro, comprovata l’effettività degli acquisti in considerazione della regolare tenuta della contabilità da parte della società contribuente e della prova dei pagamenti delle fatture a mezzo assegni bancari.
2.1 Il primo motivo è fondato.
2.2 Va premesso che “ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., sent. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte, nelle ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che «ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 26790 del 2020; 11624 del 2020; 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente [rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti], il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo» (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018); quanto alla prova di cui è onerata l’Amministrazione, e che già dal principio appena riportato si desume possa avere anche solo natura indiziaria, la Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c. (Cass., ord. n. 14237 del 2017; Cass n. 11624 del 2020).
2.3 In tema di operazioni soggettivamente inesistenti, questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. 5, 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del 30/10/2018).
2.4 Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi in quanto – a fronte della contestazione della indebita deduzione da parte della società contribuente di costi, ai fini delle imposte dirette, e detrazione, ai fini Iva, in relazione a fatture emesse dalla ditta Promotion afferenti ad operazioni asseritamente oggettivamente e soggettivamente inesistenti (v. anche motivazione dell’avviso riprodotto in ricorso) in base a plurimi elementi indiziari di una fittizietà emersi in sede di verifica a carico della ditta Promotion, quali la mancata presentazione di alcuna dichiarazione fiscale da parte di quest’ultima, la mancata registrazione di fatture emesse e ricevute, la mancanza di documentazione di acquisto dei beni fatturati, la inesistenza di beni strumentali presso la sede, la doppia numerazione e la discordanza di date nelle fatture esibite, i pagamenti effettuati dalla maggior parte dei clienti per cassa in contanti- si è limitata ad affermare, da un lato, che “tutto ciò esposto negli avvisi evidentemente non riguarda[va] assolutamente la società C. s.r.l.”, senza effettuare, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, una valutazione complessiva degli elementi indiziari emersi in sede di p.v.c. della G.d.F. a carico della ditta Promotion in relazione alla contestazione mossa nei confronti della cliente C. s.r.l.; dall’altro, il giudice di appello ha ritenuto, comunque, assolto da parte della contribuente l’onere a contrario circa l’effettività delle operazioni in base a circostanze, alla luce dei principi sopra richiamati, irrilevanti, quali la regolare tenuta della contabilità e i pagamenti effettuati a mezzo assegni bancari.
Né tantomeno rileva – come eccepito in memoria – il fatto che, nella specie (diversamente da quanto avvenuto nel giudizio conclusosi con la richiamata Cass., ord., n. 40868/2021), la CTR abbia valutato la sentenza penale n. 1828/2014 del Tribunale di Cosenza di assoluzione dei rappresentanti legali della società contribuente in quanto, posta autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, detta valutazione – peraltro svolta ad abundantiam – non è avvenuta, per quanto sopra osservato, nel corretto confronto con tutti gli altri elementi di prova, anche presuntiva, acquisiti nel giudizio.
3. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 654 c.p.p. e 116 c.p.c. nonché 20 del d.lgs. n. 74/2000, per avere la CTR nonostante l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale -esteso automaticamente gli effetti della sentenza penale di assoluzione dei legali rappresentanti della società contribuente con riguardo all’azione accertatrice dell’Amministrazione fiscale.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, in sede di legittimità, sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dieta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Cass. n. 22380 del 2014; Cass. n. 23635 del 2010; n. 15234 del 2007); nella specie, l’argomentazione della CTR in ordine all’avvenuta assoluzione, in forza della sentenza penale n. 1828/2014 del Tribunale di Cosenza, dei rappresentanti della C. s.r.l. è svolta in via rafforzativa di quanto già esposto in merito alla ritenuta infondatezza della pretesa tributaria (“Anche il Tribunale di Cosenza sezione penale, con sentenza n. 1828/2014 del 17.7.2014 e depositata il 13.10.2014, ha assolto i legali rappresentanti della C. per non avere commesso il reato in relazione all’utilizzo delle stesse fatture contestate negli avvisi di accertamento”) e dunque ad abundantiam senza costituire una ratio decidendi della sentenza impugnata.
4. In conclusione, va accolto il primo motivo dichiarato inammissibile il secondo, con cassazione della sentenza impugnata- in relazione al primo motivo- e rinvio anche per la verifica dell’eventuale incidenza sul giudizio della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44) e dell’art. 8, comma 2, del di. 2 marzo 2012, n. 16, come convertito, nonché per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione che potrà rivalutare la questione;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione;
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