Corte di Cassazione, ordinanza n. 20395 depositata il 14 luglio 2023
operazioni soggettivamente inesistenti – raddoppio dei termini – obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem – sebbene il ragionamento presuntivo non possa sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, c.p.c., la critica sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali ovvero nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1, risolvendosi in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi così su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.
RILEVATO CHE:
1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’Agenzia delle entrate nel 2014 aveva emesso nei confronti della Laureana Gestioni srl avvisi di accertamento per gli anni dal 2007 al 2010, recanti maggiori IVA, IRES ed IRAP contestando la contabilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla ditta CTC Print.
2. La società aveva proposto separati ricorsi che la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Torino aveva riunito e accolto, ritenendo che, per gli anni 2007 e 2008, non ricorressero i presupposti per il raddoppio dei termini e che, per gli anni successivi, la contribuente avesse fornito prova di aver intrattenuto normali rapporti commerciali con le società indicate come cartiera.
3. L’Agenzia delle entrate ha proposto appello che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Piemonte ha accolto, ritenendo sussistenti i presupposti per il raddoppio dei termini nonché la prova della inesistenza delle operazioni contestate, attesi i molteplici elementi indiziari risultanti dagli accertamenti svolti.
4. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società con quattro mezzi che illustra con memoria.
5. Non resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nonché violazione dei principi di cui agli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. anche in relazione all’art. 56 comma 2 P.R. n. 633/72 ed all’art. 39 d.P.R. n. 600/73.
1.1 Il motivo è inammissibile e, comunque, è infondato.
1.2 Con la censura ex 5 dell’art. 360 c.p.c. si precisa che «il fatto decisivo e discusso fra le parti, è l’inesistenza delle operazioni commerciali», ritenuta provata dalla CTR, secondo la ricorrente, sulla base di un «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ed una esposizione perplessa e obiettivamente incomprensibile»; questa deduzione contrasta con il costante orientamento di questa Corte, secondo cui la censura deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (ex multis, v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
1.3 In questo caso manca proprio un preciso accadimento storico decisivo, poiché si deducono argomenti e difese tendenti a rimettere in discussione l’accertamento in fatto della CTR che appare invece correttamente e congruamente motivato: la CTC Print, la quale aveva emesso nei confronti della ricorrente fatture per acquisti per oltre due milioni di euro, «non disponeva di una struttura minima per lo svolgimento di una attività commerciale capace di realizzare milioni di fatturato», disponeva soltanto di «due stanzette ad uso amministrativo, senza un’area espositiva, senza un deposito o un magazzino». Ancora, le stesse «modalità operative descritte dalla contribuente risultano essere significative di un “modus operandi“ che lungi dal confermare l’effettività delle operazioni danno prova del contrario»: a detta dell’appellata, infatti, «tutti gli ordini erano effettuati tramite internet, tutte le forniture venivano pagate anticipatamente anche per rilevantissimi importi e tutti i trasporti con la merce prelevata presso un soggetto terzo, venivano realizzati da un fattorino interno con un furgoncino».
1.4 Quanto al secondo profilo di doglianza, sebbene il ragionamento presuntivo, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non possa sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, c.p.c., la critica sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali ovvero nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, comma 1, risolvendosi in realtà in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, ponendosi così su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
1.5 In questo caso, la ricorrente tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità se congruamente e correttamente motivato, osservando che la sentenza non spiegava il ruolo della ricorrente nella frode, che la società aveva esibito tutta la documentazione bancaria e contabile relativa agli acquisiti effettuati presso la CTC Print, che non si era tenuto conto di una serie di elementi oggettivi che contrastavano con la ricostruzione dell’Ufficio, tra i quali, in particolare, le dichiarazioni rese dal proprio dipendente Luigi Panunzio che aveva provveduto, in diverso occasioni, a ritirare la merce proveniente dalla CTC Print di Napoli.
1.5.1 Peraltro, in caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione, ha soltanto l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate, mentre in caso di operazioni soggettivamente inesistenti deve anche provare che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l’ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti (Cass. n. 25778 del 2014).
1.5.2 Inoltre, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628 del 2021; Cass. n. 17619 del 2018).
1.5.3 Ancora, le dichiarazioni extraprocessuali di terzi sono ammissibili ed utilizzabili nel processo tributario – nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – e hanno valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente (Cass. n. 8221 del 2023), il che significa che vengono valutate alla stregua degli altri elementi indiziari da parte del giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547 del 2017).
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 comma 1 3 c.p.c., dell’art. 57 d.P.R. n. 633/72 non sussistendo i presupposti per il raddoppio dei termini, poiché non era stata presentata alcuna denunzia a carico della società e la CTR non aveva indicato gli specifici elementi del reato da denunciare, limitandosi ad affermazioni apodittiche.
2.1 Il motivo è infondato.
2.2 La sentenza ha affermato che «I fatti addebitati alla contribuente erano sicuramente tali da configurare in ipotesi la presentazione di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti”» rilevando altresì che non era richiesta né la presentazione della denuncia né la precisa individuazione del reato, bastando l’emergenza di elementi che rendevano obbligatoria la presentazione della denuncia ex art. 331 c.p.p.
2.3 Tutto ciò è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini, previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 (Cass., n. 17586 del 2019; Cass. n. 24576 del 2022), prescindendosi anche dall’esito del relativo procedimento penale e rilevando solo l’astratta configurabilità di un illecito penale, atteso il regime del “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario (Cass. n. 27250 del 2022).
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 1 commi 130, 131 e 132 legge n. 208/2015 in relazione all’art. 11 delle preleggi secondo cui doveva trovare applicazione la norma transitoria di cui al comma 132 della legge n. 208/15 che subordina il raddoppio del termine decadenziale al presupposto della presentazione della denuncia, mai effettuata in questo caso.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Come sopra osservato, si applicano l’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e l’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA, come modificati dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., in l. n. 248 del 2006, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016; Cass. n. 11620 del 2018; Cass. n. 33793 del 2019; Cass., n. 1318 del 2021 in motivazione).
3.3 In altri termini, nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 19.5.2014 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.
4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 3 c.p.c., dell’art. 56 d.P.R. n. 633/72, dell’art. 3 legge n. 241/1990 e dell’art. 7 legge n. 212/2000 perché gli avvisi di accertamento, pur fondati su pvc, non allegavano questi atti in forma integrale ma li riportavano per stralcio con omissis e la CTR non aveva esaminato questo motivo d’appello già posto a fondamento del ricorso in primo grado.
4.1 Il motivo è infondato.
4.2 Dispone l’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000 che « Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama».
4.3 Dispone a sua volta l’art. 42 , comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, nella versione vigente ratione temporis, che «Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».
4.4 Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, le norme appena citate consentono di adempiere l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente — ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale — di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019, n. 4176; Cass., n. 29968 del 2019).
4.5 Questa interpretazione realizza un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa (e quindi di buon andamento dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.) – che giustificano l’ammissibilità, anche normativa, della motivazione per relationem (cfr. Cass. n. 1906 del 2008, in motivazione)- ed il pieno esercizio nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo del diritto di difesa del contribuente (rilevante ex artt. 24 e 111 Cost.), che sarebbe illegittimamente compresso se la conoscibilità dell’atto esterno richiamato dalla motivazione non fosse agevole, ma richiedesse un’attività di ricerca complessa (Cass. 593 del 2021).
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato ma non vi è da provvedere sulle spese atteso che l’Agenzia non ha resistito con controricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; nulla sulle spese;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 se dovuto.