Corte di Cassazione, ordinanza n. 16661 depositata il 12giugno 2023

Accertamento – Operazioni oggettivamente inesistenti – Prova indiziaria

Rilevato che

Dalla sentenza impugnata e dal ricorso si evince che Cervone Gennaro e la Kerlis Consulting s.r.l. impugnarono l’avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, riconoscendo il compimento di operazioni oggettivamente inesistenti, consistite nella fatturazione di servizi di consulenza resi dalla società – all’epoca amministrata dal Cervone Gennaro – alla C.O.P.I. Trasporti e Manutenzioni di Antonio Cervone & C. s.n.c., rideterminò l’imponibile sociale per l’anno d’imposta 2012 ai fini Ires, Irap e Iva, comminando anche le sanzioni, e così richiedendo alla Kerlis il complessivo imposto di € 402.925,88.

La adita Commissione tributaria provinciale di Napoli rigettò il ricorso con sentenza n. 8975/18/2018. L’appello promosso dai contribuenti dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania fu respinto con sentenza n. 457/14/2020.

Il giudice regionale ha ritenuto che gli indizi allegati dall’Ufficio, e complessivamente vagliati, deponessero a favore della costruzione fraudolenta di operazioni oggettivamente inesistenti. Ha pertanto confermato l’atto impositivo, che aveva ritenuto indetraibile l’iva sugli acquisti.

I ricorrenti hanno censurato la sentenza, chiedendo la cassazione, sulla base di tre motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Nell’adunanza camerale del 10 febbraio 2023 la causa è stata riservata e decisa.

Considerato che

con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al governo delle prove presuntive;

con il secondo motivo si sono doluti dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., quanto agli elementi addotti dai contribuenti, non vagliati dal giudice regionale;

con il terzo motivo hanno denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., quanto all’omesso esame di documenti decisivi ai fini della risoluzione della controversia.

I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché, sotto i molteplici profili dell’errore di diritto sostanziale, dell’errore di diritto processuale, del vizio di motivazione, criticano la pronuncia per l’erroneo giudizio su tutti gli elementi utili alla ricostruzione della vicenda, sono infondati.

È intanto opportuno ribadire, secondo un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo. Una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA, offrire la controprova dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 13 marzo 2013, n. 6229; 14 settembre 2016, n. 18118; 19 ottobre 2018, n. 26453; 18 ottobre 2021, n. 28628). 

Quanto poi alle modalità di utilizzo e valorizzazione delle prove indiziarie, di cui il primo motivo di ricorso denuncia sostanzialmente un malgoverno, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973; 15 novembre 2021, n. 34248; cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984).

Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484; 15 gennaio 2014, n.656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova.

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (ex multis, cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; 12 aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.

Ebbene, nella presente fattispecie il giudice d’appello, dopo aver riassunto l’iter e gli esiti processuali del primo grado e le ragioni dell’impugnazione, ha ritenuto che numerosi elementi portavano a riconoscere l’oggettiva inesistenza delle operazioni figurate nel bilancio della Kerlis Consulting, considerata pertanto una società cartiera (la posizione esclusiva del Cervone Gennaro, nel 2012 unico socio, amministratore e legale rappresentante della società; il rapporto di parentela con il legale rappresentante della C.O.P.I. s.n.c. -padre/figlio- destinataria delle operazioni inesistenti; la cessione immediata delle quote sociali poco dopo l’inizio dell’attività di verifica; l’omessa esibizione di documentazione contabile; la mancanza di bilanci a partire dal 2013; la contabilizzazione da parte della C.O.P.I. s.n.c., piccola realtà economica, di consulenze ricevute dalla Kerlis per 580.000,00 €; la contabilizzazione da parte della Kerlis di 586.992,00 € per consulenze ricevute dal Cervone Gennaro, si ribadisce suo unico socio, nonché amministratore e legale rappresentante; la tracciabilità di pagamenti dalla C.O.P.I. alla Kerlis nel limitato importo di € 58.984,00; l’assenza di data certa e la genericità del contenuto del rapporto di consulenza tra la Kerlis e la C.O.P.I.).

Il giudice d’appello ha dunque tenuto conto di una pluralità di elementi che, ciascuno già di per sé significativo, sono stati valutati nel loro insieme, consentendo di addivenire ad un giudizio complessivo logico, di corretta ponderazione della prova presuntiva allegata dall’Amministrazione finanziaria attraverso i numerosi indizi.

Di contro è del tutto priva di pregio la critica mossa dalla difesa dei contribuenti, che hanno lamentato il mancato esame degli elementi a loro volta prodotti nel giudizio. Priva di pregio perché: a) intanto alcuni di quegli elementi sono stati vagliati, evidentemente escludendosene la rilevanza da parte del giudice d’appello; b) nella valutazione delle prove, una volta che il giudice di merito abbia dimostrato di aver operato nell’osservanza delle regole di governo delle prove, e per quelle presuntive secondo le regole di interpretazione evincibili dai principi formulati dalla giurisprudenza di legittimità, la valutazione stessa si traduce in un accertamento in fatto, riservato al solo giudice di merito ed inibito al giudice di legittimità; c) nella valutazione degli indizi e nella valorizzazione di quelli che ritiene più pertinenti, il giudice non è tenuto a giustificare atomisticamente ciascuno di essi e del perché attribuisca maggior valore all’uno piuttosto che all’altro. D’altronde l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415). Sul punto si è anzi affermato che la valutazione delle prove raccolte, anche quando si tratti di presunzioni, costituisce un’attività riservata all’esclusivo apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, rimanendo pertanto estranea al vizio previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato. Tale critica non potrebbe essere portata neppure ai sensi dell’art. 116, primo e secondo comma, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cit. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass., 19 luglio 2021, n. 20553).

Nel caso di specie il processo logico-valutativo del giudice d’appello è in conclusione esente da errori di diritto o da deficienze motivazionali, così che nessuno dei vizi invocati dal ricorso dei contribuenti va riconosciuto.

Il ricorso va pertanto rigettato. All’esito del giudizio le spese processuali di liquidano secondo il principio della soccombenza, nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.