Corte di Cassazione, ordinanza n. 20374 depositata il 14 luglio 2023
efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi – valutazione della prova l’errore di valutazione dei fatti deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione
RILEVATO CHE:
1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della E. srl avvisi di accertamento per gli anni 2008, 2009 e 2010 recanti maggiori IVA, IRES ed IRAP contestando la contabilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla ditta R.E..
2. La società aveva proposto separati ricorsi allegando l’esistenza e l’operatività della ditta R.E., dotata di diciannove dipendenti, sino al 2011 e aggiungendo che, comunque, a voler ammettere che i lavori erano stati realizzati da terzi e non dalla ditta R.E., si era trattato di operazioni soggettivamente inesistenti dalle quali derivava il diritto alla deduzione di quei costi.
3. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Benevento, previa riunione, rigettava i ricorsi.
4. La E. srl ha proposto appello che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania ha rigettato, ritenendo sussistente la prova dell’inesistenza delle operazioni fatturate dalla ditta R.E. e «fallita» la prova di esistenza di quelle operazioni a carico della società.
5. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società con tre mezzi.
6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo la società deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54 d.P.R. n. 633/72, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. nonché violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., perché la CTR aveva omesso di decidere sul primo motivo d’appello, secondo cui la fattispecie andava inquadrata nell’art. 39 comma 1 c) nonché nell’art. 54 comma 3, non comma 2, del d.P.R. n. 633/72, con la conseguenza che l’accertamento non poteva essere fondato su presunzioni ma era richiesta una prova “certa e diretta”.
1.1 L’omissione non rileva perché il motivo è infondato, come può statuirsi ex 384 c.p.c.. Gli elementi raccolti contro la ditta R.E. hanno costituito soltanto il presupposto fattuale che ha indotto a procedere, in data 22.3.2013, nei confronti della E. srl attraverso la redazione di apposito pvc che «reca in premessa gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2011 nei confronti della ditta R.E.»; successivamente, sono stati emessi gli avvisi di accertamento impugnati, ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) e dell’art. 54 comma 2, con legittimo utilizzo, quindi, delle presunzioni ivi previste.
2. Con il secondo motivo deduce «Violazione e falsa applicazione di legge, in particolare degli artt. 2727 e 2729 c.c. sub art. 360 n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.- errore in procedendo- sub art. 360 n. 3 e 4.», contestando la ricorrenza di presunzioni gravi, precise e concordanti.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n.n. 3 e 4 c.p.c., avendo la CTR errato nel disattendere gli elementi di prova contraria fornita dalla società.
4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili e, comunque, infondati.
5. Va premesso che, sebbene il ragionamento presuntivo non possa sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3, c.p.c., la critica sfugge al concetto di falsa applicazione quando, come nel caso in esame, si concreta in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali ovvero nella prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella applicata dal giudice di merito, ponendosi su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. ma proponendo un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, prospettando una diversa ricostruzione della stessa quaestio (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
6. Va considerato, inoltre, che il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116 p.c. (Cass. n. 34786 del 2021), poiché il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito e l’errore di valutazione dei fatti deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940 del 2017).
7. La CTR, invero, ha fatto corretta applicazione dei principi in materia secondo cui, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 28628 del 2021; Cass. n. 17619 del 2018).
8. A questa stregua, i giudici d’appello hanno ritenuto presunzioni gravi precise e concordanti i seguenti elementi desunti dal pvc: le fatture di più rilevante importo contenevano una descrizione generica e insufficiente delle operazioni, dei cantieri e dei mezzi impiegati; le fatture facevano riferimento a fornitura e posa in opera di materiali edili e noleggio di mezzi, quando entrambe le ditte disponevano solo di manodopera; nessuno dei dipendenti di entrambe le ditte ha confermato di aver lavorato presso i cantieri indicate nelle fatture; le fatture erano state pagate per contanti, cambiali o assegni circolari.
9. La ricorrente contesta questi elementi osservando che la mancanza di fatture relative all’acquisto di materiali e di beni non esclude che la ditta fornitrice si sia rivolta a terzi, che le dichiarazioni rese da terzi, mai esibite e rese senza contraddittorio, non hanno valore probatorio né indiziario, che era più che verosimile il pagamento per contanti poiché il R.E. non era titolare di conto corrente; inoltre, osserva che in realtà le fatture erano specifiche e dettagliate, che alcuni contratti d’appalto erano registrati, che erano stati prodotti i ddt allegati alle fatture.
10. Pare evidente che la ricorrente non dimostra vizi nel ragionamento presuntivo della CTR o difetti motivazionali ma cerca piuttosto di confutare il rilievo probatorio degli elementi a base della decisione della CTR, oltretutto attraverso una considerazione atomistica e non complessiva come si richiede, invece, in tema di presunzioni (Cass. n. 9054 del 2022; Cass. 9178 del 2018). La critica si risolve, quindi, in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito che non inficia il ragionamento svolto in sentenza ed è accompagnata anche da affermazioni infondate o inammissibili: è affermata da questa Corte l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (Cass. n. 32024 del 2022; Cass. n. 9316 del 2020), mentre non è ammessa la deduzione di fatti in contrasto con l’accertamento svolto dal giudice di merito, dovendosi piuttosto far valere attraverso lo strumento della revocazione e non con il ricorso per cassazione la falsa percezione dei fatti in cui sia incorso il giudice di merito (Cass. n.24539 del 2007; Cass. n. 4893 del 2016).
11. Con riguardo, poi, alla prova contraria a carico del contribuente, la CTR ha ritenuto, in primo luogo, una intrinseca contraddittorietà nella posizione della ricorrente che aveva sostenuto l’avvenuta esecuzione delle prestazioni indicate in fattura dalla ditta R.E. e, nel contempo, aveva sostenuto l’applicazione dell’art. 8 d.l. n. 16/2002 conv. con legge n. 44/2012, assumendo che le operazioni erano state rese da un soggetto diverso, che però non è mai stato indicato; inoltre, ha rilevato che i documenti che dovevano dimostrare l’effettività delle prestazioni erano stati prodotti soltanto in secondo grado, non erano mai stati esibiti in sede di contraddittorio endoprocedimentale né in primo grado, cosiiché era legittimo il sospetto che fossero stati compilati per creare una mera apparenza documentale, e, in ogni caso, non erano in grado di superare i rilievi di cui al pvc.
12. La ricorrente lamenta che ingiustificatamente la CTR non avrebbe preso in considerazione i documenti prodotti in grado d’appello ma, in disparte la specifica motivazione sul punto, va tenuto presente che l’attività di selezione dei mezzi di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività riconducibile in via esclusiva al suo sindacato ed è estranea al sindacato della Corte di legittimità, con la conseguenza che non è denunciabile come vizio della decisione di Invero, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 331 del 2020).
13. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.