CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3323

Tributi – Accertamento – Operazioni ritenute oggettivamente inesistenti – Elementi presuntivi – Motivazione dell’avviso di accertamento – Valutazione prova contraria addotta dal contribuente

Rilevato che

– in controversia relativa ad impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEF ed IRAP emessi dall’Agenzia delle entrate nei confronti di B.B., quale titolare della ditta individuale “G.L. SALD di B.B.”, per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni intercorse con la C. s.n.c. di A.P. e C. negli anni d’imposta 2006 e 2007, ritenute oggettivamente inesistenti, la CTR con la sentenza impugnata rigettava l’appello dell’ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova dell’«esistenza della frode e della connivenza del contribuente», in quanto gli elementi presuntivi addotti dall’amministrazione finanziaria erano privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;

avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimato con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

Considerato che

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, 56 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., sostenendo che aveva errato la CTR a ritenere che l’amministrazione finanziaria negli atti impositivi emessi «non aveva illustrato le ragioni per le quali le fatture contestate alla società dovevano essere considerate operazioni inesistenti».

2. Il motivo è manifestamente fondato. Il contenuto degli avvisi di accertamento, riprodotto in parte qua nel ricorso (pagg. 11, 12 e 13), in ossequio al principio di autosufficienza, rende evidente come in essi siano stati analiticamente specificati e congruamente illustrati i motivi che avevano indotto l’amministrazione finanziaria a ritenere che le fatture emesse dalla C. s.n.c. nei confronti della ditta contribuente fossero relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, 19, 21, comma 7, e 54 d.P.R. n. 633 del 1972 nonché 2697, 2727 e 2729 cod. civ., censurando la statuizione impugnata per avere erroneamente ritenuto che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova della «esistenza della frode e della connivenza del contribuente», in quanto gli elementi presuntivi erano privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

4. Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 654 cod. proc. pen.e 20 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere i giudici di appello attribuito efficacia automatica e vincolante alla sentenza penale di assoluzione del Balzano dai reati tributari al medesimo contestati in relazione ai medesimi fatti oggetto di accertamento fiscale, peraltro omettendo di indicare i nomi dei testimoni ed il contenuto delle dichiarazioni dai medesimi rese, così non consentendo di conoscere la rilevanza delle stesse nel giudizio tributario.

5. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono fondati e vanno accolti.

5.1. Al riguardo va ricordato il costante orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia» (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610; Sez. 5, Ordinanza n. 27554 del 30/10/2018, Rv. 651216; Sez. 5, Ordinanza n. 26453 del 19/10/2018, Rv. 650797).

5.2. Nella specie l’Ufficio ha fornito alla CTR una serie di elementi presuntivi dai quali poteva evincersi l’oggettiva, inesistenza delle operazioni fatturate, in particolare per essere la C. s.n.c. di A.P. e C., che aveva emesso le fatture, una “società cartiera”, per come doveva desumersi non solo dalla mancata presentazione delle dichiarazioni reddituali fin dall’anno d’imposta 1999, ma anche e specialmente dal fatto che la stessa non risultava avere mai avuto personale alle proprie dipendenze che potesse aver eseguito le numerose e consistenti prestazioni fatturate (per Euro 110.000,00 per l’anno 2006 ed Euro 100.000,00 per l’anno 2007), peraltro relative alla sola esecuzione dei lavori, con esclusione di fornitura di materiale; a ciò deve aggiungersi che l’amministrazione finanziaria aveva anche evidenziato l’assoluta genericità delle prestazioni indicate in fattura (ripetitivamente emesse per «Eseguiti lavori di costruzioni tubazioni in acciaio inox saldate secondo vs. specifiche»), ma anche dei contratti sottostanti, privi di specifica indicazione del tipo di commessa e del luogo di esecuzione dei lavori, l’irregolarità delle fatture (risultava, infatti, che le fatture n. 64 e n. 65 emesse entrambe in data 30/09/2006 erano state registrate rispettivamente al n. 137 del 30/11/2006 e al n. 105 del 30/09/2006) e la mancanza di prova del pagamento delle stesse.

5.3. Non è dubitabile, quindi, che la molteplicità degli elementi indicati dall’Ufficio a supporto della propria tesi legittima la presunzione che le operazioni verificate non siano state in realtà mai realizzate e che la fornitrice sia una ditta fittizia, ragion per cui viene a gravare sul contribuente la prova dell’effettiva esistenza della prima e dell’effettività delle operazioni fatturate. Trattasi di onere probatorio che va assolto in modo specifico e non generico, ad esempio mediante produzione di documentazione che sia immediatamente ed oggettivamente riferibile alla ditta cedente e alle fatture oggetto di contestazione, essendo del tutto irrilevante quella «prassi seguita nel settore della nautica» di non specificare il contenuto delle prestazioni contrattuali, che è peraltro circostanza indimostrata erroneamente assunta dai giudici di appello a fatto notorio. Anche quanto alla presenza degli operai nei cantieri la prova deve essere assolta con le medesime modalità di certezza di riferibilità di quelle presenze alle attività fatturate, nella specie oggetto di specifica contestazione da parte dell’Agenzia delle entrate che ha evidenziato la genericità della documentazione prodotta dalla società contribuente (fatture alberghiere senza specificazione dei giorni, della durata dell’alloggio, dei nominativi delle persone ospitate e senza alcun collegamento con la ditta esecutrice dei lavori – ricorso pag. 22, in cui viene altresì riprodotto il contenuto delle controdeduzioni di primo grado in cui l’Agenzia delle entrate evidenziava incongruenze tra l’intestazione delle fatture ed il soggetto che aveva reso le prestazioni alberghiere). Quanto, poi, alle risultanze delle prove testimoniali di cui si erano avvalsi i giudici penali per pervenire all’assoluzione del contribuente dai reati tributari al medesimo contestati, cui fa riferimento la CTR per trarre conforto alla tesi dell’esistenza delle operazioni fatturate, l’affermazione, a prescindere dalla sua assoluta genericità, non essendo indicate le ragioni di condivisione e l’incidenza nel giudizio tributario di quelle dichiarazioni testimoniali, si pone in evidente antitesi con il principio giurisprudenziale in base al quale «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio» (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28174 del 24/11/2017, Rv. 646971).

6. Conclusivamente il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che rivaluterà, alla stregua dei suesposti principi, l’intera vicenda processuale tra cui il materiale probatorio prodotto dal contribuente valutandone l’idoneità a costituire la prova contraria gravante sul medesimo.

7. Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.