CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 8445 depositata il 28 marzo 2024
Tributi – Redditi compendio a destinazione abitativa – Tariffe estimo – Avviso di accertamento – IRES – IRAP – Perdita dei crediti – Accoglimento
Fatti di causa
La società D. Srl ha per oggetto la locazione a terzi di beni immobili ed è proprietaria, tra l’altro, di un compendio a destinazione abitativa di interesse storico artistico, insistente in adiacenza al Palazzo della (…), sottoposto a vincolo diretto ai sensi della l. n. 1089/ 1939, poi trasfusa nel decreto legislativo 42/2004. Essa società ha contabilizzato i redditi prodotti da tale compendio secondo le disposizioni in allora vigenti di cui al secondo comma dell’articolo 11 della legge numero 413/1991, ove dispone che il reddito sia determinato applicando la minore fra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato. Sull’anno d’imposta 2010 la società era attinta da avviso di accertamento con ripresa a tassazione a fini Ires ed Irap, vedendosi rimodulato il ricavo come reddito di impresa, senza possibilità di fruire dell’agevolazione normativa sopra citata.
Il collegio di prossimità apprezzava le ragioni di parte contribuente, in ordine all’applicazione della legge agevolativa del 1991, tacendo sulla deduzione dei crediti per perdita, ma la sentenza veniva riformata in appello, donde la parte contribuente proponeva ricorso per Cassazione che si pronunciava con ordinanza della VI Sezione n. 29705/2019, statuendo inapplicabile la disciplina agevolativa di cui alla l. n. 413/1991 e cassando con rinvio per il profilo della deducibilità della perdita dei crediti, ritenuto non adeguatamente motivato.
Il giudizio veniva riassunto dalla parte contribuente, esitando tuttavia in nuovo rigetto, il giudice del rinvio ritenendo non provata l’oggettiva impossibilità di escussione dei crediti dedotti in perdita.
Ricorre nuovamente per cassazione la parte contribuente, affidandosi ad unico motivo di ricorso, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria.
Considerato
0. In via preliminare occorre rilevare l’istanza di riunione del giudizio con altri connessi, cui si può dar seguito mediante trattazione congiunta e contestuale nella medesima camera di consiglio.
I. Viene proposto unico motivo di ricorso, con cui si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 101, comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986, nonché dell’articolo 2697 del codice civile. Nella sostanza si lamenta che il giudice del rinvio non abbia apprezzato sussistere le condizioni di cui alla citata disposizione di legge ovvero l’esistenza certa, l’inevitabilità e irrecuperabilità della perdita dei crediti, quale dimostrata dagli accordi transativi che danno conto della situazione creditoria compromessa.
I.1. Il motivo è fondato. Occorre richiamare il principio fondamentale fissato da questa Corte con ormai risalente pronuncia cui hanno dato seguito, specificandola ed affinandone i risvolti pratici, molte altre successive. Ed infatti, è stato affermato che in tema di imposte sui redditi, non è necessario, al fine di ritenere deducibili le perdite sui crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e, quindi, l’assoggettamento di costui ad una procedura concorsuale, essendo sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso, atteso che secondo il disposto dell’art. 66, comma terzo, (ora art. 101, comma quinto) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le perdite sono deducibili, oltre che se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, quando, comunque, risultino da elementi certi e precisi (cfr. Cass. V, n. 3862/2001; n. 23863/2007; n. 10643/2018).
I.2. Con particolare riguardo all’ipotesi di transazione quale causa della perdita del credito (e prova della sua oggettività) è stato più volte affermato essere sufficiente provare il titolo della perdita realizzativa, rimanendo insindacabile altresì la palese antieconomicità, rientrando nelle scelte dell’imprenditore (ex multis Cass. V, n. 743/2021).
Ed infatti, in tema di tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle perdite su crediti la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente, perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa, potendo legittimamente compiere operazioni antieconomiche in base a considerazioni di strategia generale ed in vista di benefici economici su altri fronti (come nella specie, la convenienza economica ai rapporti con i debitori in vista di future occasioni di commesse di lavori) (Così Cass. VI – 5, n. 10256/2013).
Deve essere richiamato altresì quanto statuito da questa Corte in simile fattispecie, ove la decisione di transigere è in linea con i principi di cui sopra, posto che la valutazione positiva sulla deducibilità della perdita è pur sempre fondata sulla considerazione di fatti oggettivi, che rendevano ragionevole e giustificata la scelta dell’imprenditore di transigere per importo sensibilmente inferiore al credito originario, invece di proseguire nell’azione giudiziale (cfr. Cass. V, n. 10643/2018, in motivazione).
Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al giudice a quo, perché si attenga ai superiori principi.
II. Con memoria depositata in prossimità dell’adunanza, la parte contribuente rappresenta lo ius superveniens in tema di sanzioni, tale da non poter essere rappresentato in ricorso. La questione rimane in questa sede assorbita dall’accoglimento del primo motivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione e, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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