La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10415 depositata il 17 aprile 2024, intervenendo in tema eccedenze di versamenti, ha ribadito il principio secondo cui “… in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi in danno del contribuente, la dichiarazione integrativa per la loro correzione deve essere presentata, ex art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, non oltre il termine di presentazione della dichiarazione riguardante il periodo di imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante. In caso di avvenuto pagamento di maggiori somme rispetto a quelle dovute, il contribuente, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, può in ogni caso opporsi, in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, senza però poter opporre in compensazione tali somme alle maggiori pretese di quest’ultima, e può chiederne il rimborso entro il termine di quattro anni dal versamento, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, decorso il quale non può più domandarne la restituzione nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso, atteso che il principio della deducibilità, anche in giudizio, di suoi eventuali errori nella dichiarazione dei redditi non può essere utilizzato per eludere i termini decadenziali espressamente previsti dalla legge …” (Cassazione Sezioni Unite, sentenza n. 13378 del 2016)
La vicenda ha riguardato un contribuente, esercente la professione di avvocato, a cui veniva notificata una cartella di pagamento a seguito dei controlli automatizzati di cui all’articolo 36 bis del dpr n. 600/1973 per inesistenza del maggior credito a seguito della presentazione, nei quattro anni, della dichiarazione integrativa con cui rettificava, sulla base dell’assenza dell’autonomia organizzativa ed attribuendo a credito l’IRAP versata. Il contribuente proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento notificatagli. I giudici di prime cure accolsero le doglianze del contribuente. Avverso tale decisione l’Agente della riscossione propose appello. I giudici di secondo grado confermarono la sentenza impugnata. In particolare, il Giudice di appello riteneva che il contribuente aveva legittimamente emendato la propria dichiarazione nei termini (di quattro anni) assegnati all’Ufficio per procedere ad accertamento. Rilevava, ancora, che l’Ufficio per contestare il credito di imposta portato dal contribuente (e rinveniente dall’IRAP versata nell’anno precedente, pur in mancanza dei presupposti impositivi essendo il contribuente privo di autonoma organizzazione) avrebbe dovuto emettere un avviso di accertamento, non essendo sufficiente allo scopo l’iscrizione a ruolo ex art 36 bis. L’Amministrazione finanziaria impugnava la sentenza di appello con ticorso in cassazione fondato su tre motivi.
Gli Ermellini rigettano il primo motivo di ricorso, in accoglimento del secondo e assorbito il terzo.
I giudici di legittimità ribadiscono i principi di diritto, statuiti dalla Suprema corte, secondo cui “… In materia di IRAP, l’emenda o la ritrattazione contenuta nella dichiarazione integrativa (ex art. 2, comma 8- bis d.p.p. n. 322 del 1998), che si salda con l’originaria dichiarazione presentata, da un lato, e l’istanza di rimborso (ex art. 38 d.p.r. n. 602 del 1973), da proporre entro 48 mesi, nel caso d’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, dall’altro, operano su piani diversi del rapporto d’imposta tra Amministrazione finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l’ordinamento tributario offre all’interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell’accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l’istanza di rimborso)>> (cfr. Cass. n. 19002 del 16/07/2019). E, ancora, costituisce, altrettanto punto fermo della giurisprudenza di questa Corte (v., ex multis, Cass. n. 6239 del 05/03/2020) quello per cui <<in tema di IRAP, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per omesso versamento dell’imposta nella misura indicata nella dichiarazione dei redditi, spetta al contribuente che “ritratti” la propria dichiarazione provare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza dell’autonoma organizzazione), determinandosi, altrimenti, un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti ad imposizione ed averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono, in tutto o in parte, il versamento>>. …”