Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 223 depositata il 4 gennaio 2024
Ires, Irap – Omessa contestazione di irregolarità in relazione ad anni precedenti – Contestabilità alla controllante, poi incorporante, di irregolarità commesse dalla incorporata – Deducibilità per l’inesigibilità di crediti – Regime – la svalutazione del valore delle immobilizzazioni, che certo non sono obbligazioni o titoli assimilabili, non rappresenta un ‘costo’ fiscalmente deducibile, rivelandosi invece una minusvalenza non realizzata, di cui non è prevista la deducibilità in base alla normativa applicabile
Fatti di causa
1. A seguito di verifiche svolte da propri funzionari e conclusi con Processi Verbali di Costatazione del 14.12.2010 e 27.7.2012, l’Agenzia delle Entrate notificava alla I. Srl l’avviso di accertamento n. TK3035104862/2012, con il quale contestava maggiori tributi Ires ed Irap, con riferimento all’anno 2007, sul fondamento di una pluralità di rilievi, per un ammontare superiore ai trenta milioni di Euro.
2. La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, proponendo numerose censure, tra cui la violazione del principio di unicità dell’accertamento tributario e della normativa vigente in tema di accertamento con adesione, l’illegittimità della contestazione di perdite ritenute indeducibili nell’anno 2007, ma in relazione alle quali nulla era stato contestato in relazione all’anno 2006, e comunque criticando l’infondatezza di tutti i rilievi contestati mediante i PVC. La CTP respingeva integralmente il ricorso.
3. La contribuente spiegava appello avverso la pronuncia del giudice del gravame, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. La CTR rigettava l’impugnativa e confermava la decisione adottata dai giudici di primo grado.
4. Avverso la pronuncia adottata dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione la I. Srl, affidandosi a dieci motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente), dell’art. 172, settimo comma, del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), e degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per non avere la CTR rilevato il vizio dell’atto impositivo, in quanto emesso sebbene i documenti su cui lo stesso si fonda fossero stati ripetutamente esaminati in relazione ad anni precedenti dall’Amministrazione finanziaria, senza formulare rilievi.
2. Mediante il secondo strumento d’impugnazione, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione degli artt. 76, 84 e 172, settimo comma, del Dpr n. 197 del 1986, dell’art. 43 del Dpr n. 600 del 1973 e dell’art. 2, terzo comma, del D.Lgs n. 218 del 1997, per non avere il giudice del gravame rilevato l’illegittimità del disconoscimento di perdite della società incorporata, solo riportate in anni successivi dalla società incorporante, ma già esposte nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente (2006) e non contestate dall’Ente impositore, essendosi peraltro definite le contestazioni relative all’anno precedente mediante accertamento con adesione, ed essendo ormai maturati i termini di decadenza per l’espletamento di un accertamento in relazione a questo anno.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la violazione dell’art. 172, settimo comma, del Dpr n. 917 del 1986, e degli artt. 2423 e 2423 bis cod. civ., per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che possa contestarsi all’incorporante la pretesa irregolarità contabile commessa dall’incorporata in anno precedente la fusione.
4. Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 172, settimo comma, del Dpr n. 917 del 1986, per avere il giudice del gravame ritenuto di dover sindacare il rispetto del limite quantitativo all’utilizzo delle perdite apportate dalla incorporata alla incorporante, senza tener conto che l’operazione di fusione e la determinazione del patrimonio netto della incorporata erano assistite da valide ragioni economiche e non avevano finalità elusive.
5. Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione degli artt. 83, 101, primo comma, e 94, quarto comma, del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), per non avere la CTR rilevato che “in applicazione del principio di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato emergente dal conto economico posto dall’art. 83 del TUIR, le previsioni di cui all’art. 101, comma 1, e 94, comma 4, che limitano la deducibilità delle rettifiche di valutazione dei titoli debbano essere interpretate restrittivamente, con conseguente illegittimità del rilievo concernente l’asserita indeducibilità delle svalutazioni di una partecipazione operate dalla contribuente” (ric., p. 4), con particolare riferimento alla svalutazione del valore della partecipazione, nella misura di Euro 502.035,05, cui la ricorrente aveva provveduto in relazione alla controllata C. 90 Srl.
6. Mediante il sesto strumento d’impugnazione, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione dell’art. 101, quinto comma, del Tuir, per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che la valutazione espressa da un legale non sia idonea ad integrare gli elementi certi e precisi ai fini della deduzione di una perdita derivante dalla inesigibilità di un credito, quando detta valutazione sia fondata su “circostanze obiettive che attestino l’irrecuperabilità del credito” (ric., p. 4).
7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la contribuente critica l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la CTR valutato “la circostanza che, in relazione ai componenti dedotti quali perdite su crediti ai sensi dell’art. 101, comma 5, del TUIR, la contribuente aveva dato dimostrazione della ricorrenza della sussistenza degli elementi certi e precisi, mediante l’esibizione delle valutazioni di un legale fondate su circostanze obiettive” (ric., p. 5).
8. Mediante l’ottavo mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente rinnova la censura di violazione dell’art. 101, quinto comma, del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir), in cui è incorso il giudice del gravame nel ritenere che i plurimi pareri espressi da un legale e fondati su circostanze obiettive non possa integrare gli elementi certi e precisi di inesigibilità di un credito, in particolare quello vantato nei confronti del mediatore inglese Daniel Briggs, diverso rispetto a quello di cui al motivo precedente.
9. Con il suo nono motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente critica l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere la CTR analizzato gli elementi di prova forniti per dimostrare che per l’acquisto di un terreno in Marino erano state corrisposte a titolo di caparra confirmatoria ingenti somme, che il venditore aveva trattenuto, come era suo diritto, “con conseguente deducibilità dell’importo quale perdita su crediti ai sensi dell’art. 101, comma 5, del Tuir” (ric., p. 6).
10. Mediante il decimo mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente critica ancora la violazione dell’art. 101, quinto comma, del Tuir, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la deduzione della perdita relativa al versamento della caparra confirmatoria per l’acquisto del terreno in Marino, trattenuta dal venditore, non dovesse essere iscritto tra le perdite deducibili nell’anno 2007, “avendo soltanto in tale annualità la contribuente riscontrato la sussistenza degli elementi certi e precisi attestanti l’irrecuperabilità del credito” (ric., 6)
11. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso la contribuente contesta la violazione di legge in cui ritiene essere incorso l’impugnato giudice del gravame per non avere la CTR rilevato il vizio dell’atto impositivo per cui è causa, relativo all’anno 2007, in quanto emesso sebbene i documenti su cui lo stesso si fonda fossero stati ripetutamente esaminati in precedenza dall’Amministrazione finanziaria, come emergente anche da formali Processi Verbali di Costatazione, senza formulare rilievi.
Inoltre, la violazione di legge risulterebbe integrata per non avere il giudice del gravame rilevato l’illegittimità del disconoscimento di perdite della società incorporata, riportate in anni successivi dalla società incorporante, perché già esposte dalla incorporante nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente (2006) e non contestate dall’Ente impositore, essendosi peraltro definite le contestazioni relative all’anno precedente mediante accertamento con adesione, ed essendo ormai maturati i termini di decadenza per l’espletamento di un accertamento in relazione a questo anno.
I motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
11.1. Scrive la ricorrente, tra l’altro, che la condotta dell’Amministrazione finanziaria ha importato la “violazione delle norme in tema di buona fede e affidamento, in una con quelle che, più in generale, governano il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa”, sebbene “sia la società incorporata che la incorporante avessero subito reiterate verifiche e controlli …. In relazione alle medesime annualità d’imposta (dal 2005 al 2007)”, verifiche concluse senza contestazioni, o mediante contestazioni definite con atto di adesione, in riferimento all’anno 2006, “l’Agenzia aveva infatti esaminato tutta la documentazione”. “Nessuna contestazione era mai stata avanzata riguardo all’operazione straordinaria di fusione” della I. Srl nella C. Srl, ridenominata I. Srl, “e, in particolare, riguardo all’entità del patrimonio netto della incorporata alla data della fusione, rilevante, ai sensi dell’art. 172, settimo comma, del TUIR ai fini del riporto delle perdite della incorporata nella incorporante” (ric., p. 17 s.).
Prospetta ancora la ricorrente che “l’Agenzia avrebbe dovuto necessariamente procedere alla rettifica della dichiarazione del periodo d’imposta 2006, in cui tali perdite erano state trasferite alla incorporata e dichiarate dalla incorporante, non potendosi limitare a rettificare la dichiarazione in cui le perdite erano state soltanto riportate … per effetto dell’accertamento con adesione perfezionato per il 2006 si era determinata non solo la cristallizzazione dell’entità della perdita riportabile dal 2006 al 2007, ma anche e soprattutto la sua qualificazione come perdita utilizzabile in diminuzione del reddito della incorporante” (ric., p. 30 ss.).
11.2. Segnalato che i primi due motivi di ricorso per cassazione riproducono le censure proposte con i primi due motivi di appello, la CTR ha valutato di ritenere “infondati ambedue i … motivi di appello”. Come statuito anche dalla Suprema Corte, infatti, “ai fini della configurabilità di una situazione di legittimo affidamento del contribuente è necessario un comportamento espresso dell’amministrazione in ordine all’esistenza di un diritto proveniente dall’organo competente dell’amministrazione … le circostanze addotte dal contribuente”, relative alla mancata contestazione di irregolarità nei previ controlli effettuati anche in relazione a precedenti anni d’imposta, “risultano ontologicamente inidonee a fondare una situazione di legittimo affidamento. Ciò per l’assorbente considerazione che l’art. 10 della legge nr. 212/00”, invocato anche in questa sede dalla ricorrente, “fa riferimento a comportamenti posti in essere dal contribuente in conformità ad indicazioni provenienti dall’Amministrazione o in conseguenza di errori da essa commessi e, pertanto, a situazioni nelle quali la condotta è condizionata da preesistenti indicazioni provenienti dall’Amministrazione finanziaria medesima. Per contro, le sopra descritte circostanze fattuali si riferiscono agli esiti dei controlli effettuati dall’Amministrazione con riguardo a comportamenti già posti in essere dal contribuente” (sent. CTR, p. VI). Inoltre, “il recupero a tassazione riguarda non già l’entità della perdita, bensì la misura entro cui è ammessa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 172, co. 7, del T.U.I.R., la sua deduzione dalla base imponibile dichiarata dall’incorporante per l’anno d’imposta 2007” (sent. CTR, p. VII).
11.3. L’Amministrazione finanziaria, nel suo controricorso, ha evidenziato che “non si disconosce l’importo delle perdite come definite” con atto di adesione relativo agli anni 2005 e 2006 bensì, come del resto chiarito dal giudice dell’appello, “l’utilizzabilità delle stesse, avvenuta nel 2007 … sono state considerate deducibili esclusivamente nei limiti del patrimonio netto, come espressamente previsto dall’art. 172 del TUIR … l’Ufficio ha riconosciuto esclusivamente le perdite definite con adesione per € 593.627, recuperando la differenza tra quanto dedotto del 2007 (€ 1.064.593,00) e quanto definito in adesione” (controric., p. 5, evidenza aggiunta)
11.4. I rilievi proposti dalla CTR appaiono condivisibili, la disposizione invocata opera espresso riferimento a comportamenti posti in essere dal contribuente in conformità ad indicazioni provenienti dall’Amministrazione o in conseguenza di errori da essa commessi e, pertanto, a situazioni nelle quali la condotta del contribuente è condizionata da preesistenti indicazioni provenienti dall’Amministrazione finanziaria medesima, che nel caso di specie mancano del tutto.
Non solo. L’art. 10 della legge n. 212 del 2000, invocato dalla contribuente, attiene alla specifica materia delle sanzioni, ma la ricorrente non limita la sua censura a questo profilo, e non spiega per quale ragione ritiene la norma estensibile.
11.5. Inoltre, stante l’autonomia dei periodi d’imposizione tributaria, il dato di fatto che l’Amministrazione finanziaria non abbia contestato in relazione ad anno precedente una violazione fiscale, il cui prorogarsi degli effetti ha indotto l’Agenzia delle Entrate ad effettuare la contestazione in anno successivo, non importa alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente e del suo legittimo affidamento. Molte possono essere le ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria non contesta una violazione, pur sussistente in relazione ad un anno d’imposta, ad esempio perché è decaduta dai termini di legge per provvedervi, oppure perché ritiene, con riferimento ad un determinato periodo d’imposta, preferibile stipulare con il contribuente un accordo conciliativo. Tanto non preclude la possibilità di contestare i perduranti effetti della violazione con riferimento a successivi anni d’imposta. Per di più l’Amministrazione finanziaria ha chiarito come ha tenuto conto degli esiti dell’accertamento con adesione stipulato in relazione ad anni precedenti con la contribuente (cfr. controric., p. 5).
11.5.1. Rimane ancora da ricordare che il problema di una contestazione integrativa dell’accertamento, dei limiti entro cui questa è possibile e del rispetto del principio di unicità dell’accertamento, si pone in considerazione di più atti impositivi aventi ad oggetto un medesimo anno d’imposta. Nel caso di specie, con riferimento all’anno 2007, nei confronti della società è stato emesso e notificato un unico atto impositivo, legittimamente frutto di ripetuti controlli.
I primi due motivi di ricorso sono pertanto infondati, e devono pertanto essere respinti.
12. Con il terzo motivo di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per aver erroneamente ritenuto che possa contestarsi all’incorporante la pretesa irregolarità contabile, consistente nell’arbitraria modifica del criterio di stima del valore di immobili posseduti ai fini della sua contabilizzazione, commessa dall’incorporata in anno precedente la fusione. Mediante il quarto strumento d’impugnazione la ricorrente lamenta la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice del gravame per aver ritenuto sindacabile il rispetto del limite quantitativo all’utilizzo delle perdite apportate dalla incorporata alla incorporante, senza tener conto che l’operazione di fusione e la determinazione del patrimonio netto della incorporata erano assistite da valide ragioni economiche e non avevano finalità elusive.
I motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
12.1. Occorre premettere, in sintesi, che la società controllata C.B. aveva provveduto ad ingente rivalutazione del proprio patrimonio immobiliare, nell’anno 2005, mutando il criterio di calcolo utilizzato sin dall’acquisto degli immobili e sostituendo il criterio del costo storico con quello del valore di mercato dei beni come calcolato mediante perizia estimatoria. L’Amministrazione finanziaria rileva che l’operazione aveva comportato un grande incremento del valore delle perdite deducibili. La ricorrente sostiene che l’operazione aveva valide giustificazioni economiche.
12.2. La CTR rileva in proposito che, nella prospettazione della contribuente, “l’utilizzazione da parte della società incorporata nell’anno 2005, ai fini della valutazione della partecipazione da essa detenuta nella controllata C.B. s.r.l. (iscritte in bilancio alla voce ‘Immobilizzazioni finanziarie’) del metodo del patrimonio netto, anziché di quello del costo storico fino a quel momento utilizzato (ed il conseguente incremento del valore della partecipazione detenuta in detta società da € 4.251.037,00 – indicato nel bilancio 2004 – ad € 34.252.258,00 – indicato nel bilancio 2005 -, con contestuale iscrizione tra le poste del patrimonio netto di un ‘Fondo riserva valore corrente’ dell’importo di € 30.000.000,00) era conseguenza della gravissima crisi finanziaria che aveva interessato l’intero gruppo societario negli anni 2004-2006”, sostenendo “l’impossibilità di qualificare la società incorporata come una c.d. bara fiscale e l’inesistenza di un vantaggio fiscale indebito” (sent. CTR, p. VII s.).
12.2.1. Questi argomenti, però, condividendo la valutazione già operata dalla CTP, sono stati ritenuti infondati dal giudice del gravame. La CTR ha evidenziato, in proposito, che “il bilancio al 31.12.2005 della società I. s.r.l. depositato … reca, con riguardo al patrimonio netto … alla voce … altre riserve … l’importo di € 30.000.000,00 e specifica che detto valore è corrispondente a quello riportato nel bilancio dell’anno 2004; per contro, nel bilancio 2004 depositato … detta voce risulta pari a € 4.097,00 … il bilancio al 31.12.2005 della società I. s.r.l. depositato … reca, nell’attivo dello stato patrimoniale, alla voce … costo storico un valore delle immobilizzazioni finanziarie relativo all’anno 2004 pari ad € 38.463.220,00, per contro, nel bilancio dell’anno 2004 depositato, detta voce risulta pari ad € 8.463.220,00” (sent. CTR, p. VIII). La CTR non manca poi di evidenziare ulteriori irregolarità riscontrate, come la redazione di versioni diverse della medesima delibera di fusione della I. Srl nella C. Srl, e sottolinea che l’atto di fusione non manca di correzioni a mano dei valori dattiloscritti.
12.2.2. Quindi il giudice del gravame, segnalate le contraddizioni nella condotta e nelle affermazioni della società, rileva che “nella redazione del bilancio … i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro, salvo ‘casi eccezionali’, con la prescrizione che la nota integrativa deve motivare la deroga ed indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria del risultato economico”, mentre la stessa perizia commissionata dalla società al prof. Girelli ha evidenziato che, nella nota integrativa, l’utilizzazione del patrimonio netto ai fini della valutazione della partecipazione risulta evidenziata seppur non espressamente motivata” (sent. CTR, p. IX, evidenza aggiunta). La CTR, aderendo alla giurisprudenza della Suprema Corte in materia, evidenzia allora che “il principio di chiarezza nella redazione del bilancio … è dotato di autonoma valenza … il cambiamento dei criteri di valutazione … devono essere motivate nella nota integrativa, ai sensi dell’art. 2423 bis c.c., u.c. L’obbligo della continuità di applicazione dei criteri di valutazione si pone dunque come un esplicito limite alla discrezionalità tecnica dei redattori al fine di consentire la ricostruzione della dinamica societaria attraverso la lettura comparatistica del bilancio di esercizio e della contabilità nella loro successione annuale ed eliminare l’utilizzo delle c.d. ‘politiche di bilancio’ al fine di occultare gli effettivi risultati d’esercizio … l’adozione, nella redazione del bilancio, di un criterio di valutazione di un cespite patrimoniale diverso da quello utilizzato negli anni precedenti, in violazione del principio di continuità dei valori contabili sancito dall’art. 2423 bis c.c. e senza che la nota integrativa rechi l’adeguata motivazione della deroga richiesta rende nullo il bilancio (Cass. 11091/2008)” (sent. CTR, p. X, evidenza aggiunta).
12.2.3. Tanto premesso, il giudice del gravame non ha mancato di sottolineare che, pacificamente, “nel caso di specie” manca, “completamente nella nota integrativa al bilancio della società I. s.r.l. alla data del 31/12/2005, l’esposizione delle ragioni della deroga al criterio della valutazione della partecipazione nella società C.B. s.r.l. utilizzato fino al 2004 … la Commissione ritiene che del tutto correttamente l’Ufficio abbia provveduto alla rettifica della dichiarazione … tanto più che … nella stessa nota integrativa al bilancio, viene esclusa la sussistenza di quelle ‘condizioni eccezionali’ cui l’art. 2423-bis … subordina la possibilità di modificare i criteri di valutazione in precedenza utilizzati … nel corso del giudizio non è stata raggiunta la prova della loro effettiva sussistenza” (sent. CTR, p. XI, evidenza aggiunta).
12.2.4. Non omette, quindi, la CTR di affrontare la critica proposta dalla contribuente, e relativa “all’insussistenza … di una condotta di tipo ‘elusivo’”, ed evidenzia che ai sensi dell’art. 172, settimo comma, del Tuir, “la società incorporante o risultante dalla fusione può utilizzare la “dote” di perdite fiscali pregresse delle società partecipanti all’operazione nei limiti della consistenza del patrimonio netto … nella fattispecie d’interesse, il recupero a tassazione operato dall’Ufficio riguarda non già l’an del diritto al riporto delle perdite, bensì l’entità dello stesso. Pertanto risultano del tutto inconferenti le considerazioni formulate dall’appellante in punto di inconfigurabilità di una condotta elusiva e/o di un indebito risparmio d’imposta” (sent. CTR, p. XI s., evidenza aggiunta).
12.3. A sua volta l’Amministrazione finanziaria, oltre ad evidenziare l’ingiustificata arbitrarietà del cambiamento del criterio di stima del valore degli immobili, rileva che in base alla stessa “perizia di parte” invocata dalla ricorrente, “il valore della plusvalenza da iscrivere fra le ‘altre riserve non distribuibili’ risulterebbe pari ad € 18.763.284,13 [€ 23.014.321,13 (frazione di patrimonio netto rettificato al 95,4171%) – € 4.251.037,00 (valore della partecipata al costo d’acquisto indicato in bilancio al 31.12.2004)]” (controric., p. 22), e non si comprende quindi l’iscrizione di una plusvalenza tra le riserve per l’ammontare di Euro 30.000.000,00.
12.4. Le valutazioni espresse dalla CTR appaiono condivisibili e non meritano censure.
Sembra opportuno premettere che la critica relativa alla improprietà della contestazione alla (futura) incorporante di una rivalutazione effettuata dall’incorporata in anno precedente alla fusione non appare condivisibile. La società incorporante, infatti, deteneva il controllo della società incorporata, e gli effetti della rivalutazione si ripercuotevano quindi anche nel bilancio della incorporante, nei cui confronti l’arbitrarietà della rivalutazione è stata rilevata.
Tanto premesso, anche nel suo ricorso per cassazione la contribuente insiste nel sostenere che la condotta delle società coinvolte nella fusione non era finalizzata all’elusione della normativa fiscale, ma già la CTR ha chiarito l’irrilevanza dell’argomento. Afferma la società che l’operazione di rivalutazione del valore degli immobili, così come quella di fusione, avevano valide giustificazioni economiche, ma anche questo rilievo risulta irrilevante, perché il recupero a tassazione operato dall’Ufficio riguarda non già l’an del diritto al riporto delle perdite, bensì l’entità dello stesso.
Anche evitando di ripercorrere e valutare i numerosi elementi di elusività della condotta della società evidenziate dalla controricorrente (controric., pp. 6-24), cui la ricorrente non ha replicato, occorre evidenziare come la questione decisiva sia che la contribuente non dimostra la sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni che avrebbero giustificato la modifica del criterio di stima del valore degli immobili della C.B. Srl, dal costo storico al patrimonio netto. La società opera riferimento alla negatività del ciclo economico, fenomeno ricorrente e non eccezionale, ed alla conseguente difficoltà ad accedere al credito bancario, anche questo un fenomeno non eccezionale nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, in definitiva, non sono fondati, e devono perciò essere respinti.
13. Con il suo quinto motivo di ricorso la contribuente contesta la violazione di legge in cui è incorsa la CTR per aver respinto la propria tesi secondo cui, in applicazione del principio di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato emergente dal conto economico, posto dall’art. 83 del TUIR, le previsioni di cui all’art. 101, comma 1, e 94, comma 4, del testo unico, che limitano la deducibilità delle rettifiche di valutazione dei titoli, sono da interpretarsi restrittivamente, con conseguente illegittimità del rilievo concernente l’asserita indeducibilità delle svalutazioni di una partecipazione operate dalla contribuente, con particolare riferimento alla svalutazione del valore della partecipazione, nella misura di Euro 502.035,05, cui la ricorrente aveva provveduto in relazione alla controllata C. 90 Srl (rilievo 1, PVC 14.12.2010).
13.1. Sembra opportuno ricordare, in sintesi, che nell’anno d’imposta in esame, il 2007, la società ricorrente ha computato in diminuzione del reddito l’importo di Euro 502.035,05, avendo proceduto alla svalutazione della partecipazione detenuta, nella misura del 100%, nella società controllata C. 90 Srl. L’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che, ai sensi dell’art. 101 del Tuir, le svalutazioni del valore delle immobilizzazioni non rappresentano un costo fiscalmente deducibile in quanto integrano minusvalenze non realizzate, come evidenziato dall’art. 94, quarto comma, del Tuir, dedicato alla valutazione dei titoli, che prevede la possibilità di dedurre svalutazioni solo con riferimento ai titoli obbligazionari e assimilati.
13.1.1. Appare ancora opportuno premettere che la contribuente invoca la propria vasta produzione documentale (ric., p. 74), che la CTR ha riconosciuto non essere stata esaminata dalla CTP, ma la contestazione non è specifica, perché non sono indicati nel dettaglio i documenti prodotti di cui si domanda l’esame, e neppure gli stessi sono riprodotti, almeno in sintesi, e non rientra tra i poteri del giudice di legittimità esaminare gli atti prodotti dalla parte per verificare se da essi siano desumibili elementi, non indicati dal ricorrente, che possano assicurare fondamento agli argomenti dallo stesso proposti.
13.2. Tanto premesso, la contribuente sostiene che un principio di generale deducibilità delle svalutazioni emerge dall’art. 83 Tuir, con la conseguenza che le ipotesi derogatorie devono ritenersi di stretta interpretazione. L’art. 101, primo comma del Tuir, poi, prevede la indeducibilità solo di determinati valori, non potendosene desumere un principio generale di indeducibilità delle minusvalenze salvo eccezioni.
13.3. La CTR, ricostruito il quadro normativo applicabile, scrive che “a) la svalutazione delle partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie, cui risulta applicabile il regime della partecipation extemption di cui all’art. 87 del D.P.R. nr. 917/86, è fiscalmente non deducibile in forza del richiamo espresso, contenuto nell’art. 101, co. 1, ai ‘beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87’; b) la svalutazione delle partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie, cui non risulta applicabile il regime della partecipation extemption, è fiscalmente non deducibile (salva l’ipotesi di obbligazioni e di titoli ad essi assimilati, non ricorrente nel caso di specie), in base al combinato disposto dall’art. 101, co. 2 e 94, co. 4, del D.P.R. nr. 917/86; c) la svalutazione di partecipazioni iscritte nell’attivo circolante è fiscalmente non deducibile in base alle previsioni di cui all’art. 94 del D.P.R. nr. 917 /86. Nel caso di specie, poiché il recupero a tassazione afferisce alla deduzione della svalutazione del conto partecipazioni della C. 90 s.r.l. (partecipata nella misura del 100% dalla società I. s.r.l.), la Commissione ritiene lo stesso legittimo” (sent. CTR, p. XIII s.).
13.4. La motivazione adottata dal giudice dell’appello appare condivisibile, e persino sovrabbondante.
Ai sensi dell’art. 101, commi primo e secondo, del Tuir, nella versione applicabile ratione temporis, “Le minusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell’articolo 86, commi 1, lettere a) e b), e 2. 2. Per la valutazione dei beni indicati nell’articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), che costituiscono immobilizzazioni finanziarie si applicano le disposizioni dell’articolo 94”.
L’art. 92 del Tuir disciplina la valutazione delle rimanenze. A sua volta, l’art. 94 (valutazione dei titoli), quarto comma, del Tuir, nella versione applicabile ratione temporis, prevede che “4. Le disposizioni dell’articolo 92, comma 5, si applicano solo per la valutazione dei titoli di cui all’articolo 85, comma 1, lettera e)” (evidenza aggiunta). L’art. 85, primo comma, del Tuir, nella versione applicabile ratione temporis, detta “e) i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alla lettere c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa” (evidenza aggiunta).
13.4.1. Questa Corte ha del resto di recente confermato “l’indeducibilità delle minusvalenze da valutazione di partecipazioni societarie costituenti immobilizzazioni finanziarie, ai sensi dell’art. 101, secondo comma TUIR, in relazione all’art. 94 TUIR (testo post-riforma 2004, applicabile ratione temporis) … nella disciplina del nuovo TUIR, per effetto degli artt. 64 e 101, secondo comma, applicabile ratione temporis, viene ad essere stabilito il principio dell’assoluta indeducibilità delle minusvalenze iscritte (rectius, delle minusvalenze da valutazione), operando detta indeducibilità con riferimento a tutte le partecipazioni, siano o meno esse qualificate per l’esenzione”, Cass. sez. V, 9.9.2021, n. 24273.
Pertanto la svalutazione del valore delle immobilizzazioni, che certo non sono obbligazioni o titoli assimilabili, non rappresenta un ‘costo’ fiscalmente deducibile, rivelandosi invece una minusvalenza non realizzata, di cui non è prevista la deducibilità in base alla normativa applicabile.
Il quinto motivo di impugnazione deve pertanto essere respinto.
14. Mediante il sesto, il settimo e l’ottavo strumento d’impugnazione, la ricorrente censura, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione in conseguenza dell’omesso esame, e con riferimento ad una pluralità di rilievi proposti dall’Amministrazione finanziaria, la decisione adottata dal giudice dell’appello per aver erroneamente ritenuto che la valutazione espressa da un legale non sia idonea ad integrare gli elementi ‘certi e precisi’ di cui all’art. 101 (già 66) del Tuir, ai fini della deduzione di una perdita derivante dalla inesigibilità di un credito, neppure quando detta valutazione sia fondata su circostanze obiettive che attestino l’irrecuperabilità del credito.
Le critiche mosse dalla contribuente sono indicate come relative ai rilievi di indeducibilità di crediti di cui non risultava dimostrata l’inesigibilità attinenti a: 1) scrittura n. 00001205 del 30.12.2007 per un valore di Euro 426.731,83, tra cui l’importo di Euro 113,620,52 relativo al ‘fondo spese Daniel Briggs’; 2) scrittura n. 00001206 del 30.12.2007 per un valore di Euro 2.170.543,04; 3) scrittura n. 00001207 del 30.12.2007 per un valore di Euro 13.158.302,34; 4) scrittura n. 00001213 del 30.12.2007 per un valore di Euro 27.222,30; 5) scrittura n. 00001298 del 31.12.2007 per un valore di Euro 479.209,00. A quanto è dato comprendere, però, in concreto il contribuente propone contestazioni solo in relazione ad alcune deduzioni non riconosciute.
14.1. Invero la CTR, riscontrato che la CTP effettivamente, come lamentato dalla società, non si era espressa circa la documentazione allegata dalla contribuente, ha innanzitutto sintetizzato i criteri individuati dalla Suprema Corte per ritenere legittima la deducibilità di perdite su crediti a fini fiscali, evidenziando come sia richiesta la rigorosa dimostrazione dell’esistenza di elementi ‘certi’ e ‘precisi’ che abbiano dato causa alla perdita. Quindi ha illustrato perché, nel caso di specie, la contribuente non ha dimostrato l’integrazione dei requisiti di legge affinché la deducibilità potesse essere ammessa
In particolare, in estrema sintesi, con riferimento alla scrittura 1) n. 00001205 del 30.12.2007 per un valore di Euro 426.731,83, la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato che non emergevano in alcun modo dagli atti le ragioni dell’intervenuta rinunzia al credito nei confronti della P. Srl. Inoltre, con riferimento all’importo di Euro 113.620,52 relativo al ‘fondo spese Daniel Briggs’, la CTR ha osservato che pure in questo caso non risultano documentati tentativi di recupero del credito vantato nei confronti del “mediatore inglese … che aveva curato la cessione del compendio immobiliare di Aviano” (ric., p. 95). La valutazione di inesigibilità del credito era stata espressa dalla società sulla sola considerazione del consulente A. che, a seguito della pronuncia sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio, aveva confermato la propria perplessità circa la possibilità di riuscire a conseguire la vittoria nel secondo grado del giudizio, e comunque circa la possibilità di riuscire effettivamente a riscuotere il credito, e tanto è stato ritenuto dalla CTR inadeguato ad assicurare la prova di elementi certi e precisi di inesigibilità del credito. Inoltre, il giudice del gravame ha osservato che, essendo poi la sentenza d’appello stata depositata il 18.2.2010, risultavano “insussistenti i presupposti per l’imputazione della perdita in questione all’anno 2007” (sent. CTR, p. XVI).
14.1.1. Per quanto attiene alla scrittura 2) n. 00001206 del 30.12.2007 per un valore di Euro 2.170.543,04, se ne tratterà esaminando i successivi motivi di ricorso nono e decimo, che specificamente vi operano riferimento.
14.1.2. Riguardo alla scrittura 3) n. 00001207 del 30.12.2007 per un valore di Euro 13.158.302,34, la CTR osserva come “gli elementi addotti (sia uti singuli, sia nella loro complessità) non sono idonei a dimostrare l’esistenza in modo ‘certo’ e ‘preciso’ delle perdite contabilizzate. Infatti non v’è la prova della circostanza che la società creditrice si sia in qualche modo attivata per ottenere il pagamento” (sent. CTR, p. XVII), peraltro neppure valorizzando la considerazione dell’Avv. A., suo consulente, che aveva segnalato la possibilità di intervenire nelle procedure esecutive già aperte nei confronti della controparte, per quanto attiene ai crediti vantati nei confronti della U.V. s.c.r.l. Non manca, inoltre, la CTR di affermare l’irrilevanza della relazione dell’arch. R. in relazione agli immobili di proprietà della V. 90 Srl, perché redatta a distanza di molti anni, nonché delle relazioni a firma della dott.ssa C. M. perché prive di data certa, ed anche in relazione ai contratti di cessione del credito, anch’essi privi di data certa. Inoltre, in relazione ai crediti vantati nei confronti della Cesir Srl e della Ceaf Srl non è stata dimostrata la “oggettiva impossibilità di ottenere il pagamento del credito vantato” (sent. CTR, p. XVIII).
14.1.3. In ordine alla scrittura 4) n. 00001213 del 30.12.2007 per un valore di Euro 27.222,30, la CTR osserva sinteticamente che non è stato prodotto dalla società alcun documento idoneo a dimostrarne la legittima imputazione nella base imponibile dichiarata.
14.2. Occorre subito osservare che la Commissione opera plurimi riferimenti alle consulenze fornite dall’Avv. A. (es., cfr. p. XVI, XVII), e deve quindi ritenersi che le abbia valutate, anche implicitamente, e non ricorre pertanto il vizio dell’omesso esame.
Tanto premesso, la valutazione sugli elementi di prova forniti dalla contribuente, che compete al giudice del merito, risulta essere stata espressa dalla CTR, ed appare anche conforme rispetto ai principi statuiti in materia da questa Corte regolatrice. In sostanza il giudice dell’appello ha ritenuto che la contribuente non abbia documentato la ricorrenza di elementi certi e precisi di inesigibilità dei crediti, non avendo intrapreso alcuna utile azione per il loro recupero, neppure quando la possibilità di provvedervi era stata evidenziata dal proprio consulente, essendosi avvalsa per esprimere la propria valutazione di inesigibilità dei crediti esclusivamente dei pareri resi dal consulente, privi di un corredo documentale idoneo a dimostrare la condizione di insolvibilità dei debitori.
14.2.1. Invero, si è già avuto modo di statuire che “in tema di imposte sui redditi, l’art. 66, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986”, ora art. 101, comma 5, “prevedendo che, al di fuori dell’ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, le perdite su crediti sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, pone a carico del contribuente l’onere di allegare e documentare gli elementi di riferimento che hanno dato luogo alla perdita”, Cass. sez. V, 26.2.2020, n. 5183 (evidenza aggiunta); e non si era, già in precedenza, mancato di chiarire che “in tema di contenzioso tributario, per la deducibilità delle perdite su crediti ai fini fiscali, non correlate all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, il contribuente, che voglia portare in deduzione la perdita, è tenuto a fornire elementi inequivoci per ritenere il credito di difficile esazione, la cui ponderazione integra una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità”, Cass. sez. V, 14.1.2015, n. 403.
I motivi di impugnazione dal sesto all’ottavo, pertanto, nella misura in cui sono ammissibili, risultano comunque infondati.
15. Con il nono ed il decimo strumento d’impugnazione la società affronta la questione del trattamento fiscale delle somme che prospetta di avere corrisposto a titolo di caparra confirmatoria per l’acquisto di un terreno in Marino risoltesi, nella sua prospettazione, in perdite deducibili.
In particolare, con il nono motivo di ricorso la ricorrente critica l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere la CTR analizzato gli elementi di prova forniti al fine di dimostrare che per l’acquisto del terreno erano state corrisposte a titolo di caparra confirmatoria ingenti somme, che il venditore aveva trattenuto come era suo diritto, conseguendone la deducibilità dell’importo versato quale perdita su crediti ai sensi dell’art. 101, comma 5, del Tuir.
Con il decimo mezzo d’impugnazione, poi, la ricorrente critica la violazione dell’art. 101, quinto comma, del Tuir, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la perdita conseguente al versamento della caparra confirmatoria per l’acquisto del terreno in Marino, trattenuta dal venditore, non dovesse essere iscritto tra le perdite deducibili nell’anno 2007, mentre soltanto in tale annualità la contribuente aveva riscontrato la sussistenza degli elementi certi e precisi attestanti l’irrecuperabilità del credito.
15.1. Sembra opportuno chiarire che, nella narrazione di parte ricorrente, il venditore aveva stipulato con l’acquirente C. Srl (poi I. Srl), il 26.10.2000, un contratto preliminare per l’acquisto del terreno in Marino, pattuendosi un prezzo di cessione pari a £. 4.800.000.000 ed il versamento di una caparra confirmatoria per l’ammontare di £. 500.000.000, prevedendosi pure l’obbligo di restituzione di ogni somma ricevuta, da parte del venditore, qualora l’affare non si fosse concluso, in conseguenza della mancata attribuzione della natura di area edificabile al suolo da parte dell’autorità amministrativa.
Successivamente, però, le parti avevano redatto una scrittura privata il 10.1.2001 che modificava i termini dell’accordo, prevedendo il pagamento da parte della C. Srl di una caparra confirmatoria ‘rafforzata’ di importo pari, complessivamente, a £. 1.300.000.000 che, nella prospettazione della ricorrente, veniva effettivamente corrisposto, in più rate. In sostanza la C. Srl aveva assunto su di sé il rischio del mancato perfezionamento dell’iter amministrativo di attribuzione al suolo della natura edificabile, ed era stato pattuito il trattenimento dell’intera caparra confirmatoria ‘rafforzata’ da parte del venditore se il negozio non si fosse perfezionato. Il vizio della decisione della CTR con riferimento all’omesso esame, deve ancora individuarsi, secondo la società, nel fatto che “tutte le ricevute rilasciate dal Sig. S.A. recavano l’espresso riconoscimento del fatto che gli importi venivano incassati a titolo di ‘rafforzamento della caparra confirmatoria’” (ric., p. 104), ma il giudice dell’appello ha omesso di valutare tale evidenza.
15.2. In materia il giudice dell’appello scrive che “dalla documentazione prodotta in giudizio emerge che effettivamente; a) l’appellante ha corrisposto al Sig. S.A., negli anni 2000 e 2001, a mezzo assegni bancari, la complessiva somma di Lire 1.300.000.000”. Evidenzia quindi la CTR che erano stati stipulati tra le parti due ‘contratti preliminari’, il 26.10.2000 ed il 10.1.2001 e che l’erede del venditore, “il Sig. S.S., con nota del 12/01/2004, nel comunicare il decesso del proprio dante causa, Sig. S.A., evidenziava l’inadempimento della società C. s.r.l. … e la volontà di trattenere gli importi corrisposti a titolo di caparra confirmatoria. Cionondimeno, la Commissione osserva che detta documentazione non consente né di affermare che l’intera somma di Lire 1.300.000.000 sia stata corrisposta al Sig. S.A. a titolo di caparra confirmatoria in relazione al sopra menzionato contratto preliminare (tanto più che in data 25/09/2013, l’appellante ha provveduto a depositare in giudizio una dichiarazione a firma del Sig. S.S. – documento n. 9 – da cui risulta l’avvenuta corresponsione della minor somma di Lire 500.000.000 a titolo di caparra confirmatoria), né che nell’anno 2007 si siano verificati i presupposti previsti dal D.P.R. nr. 197/86 per la contabilizzazione della perdita in parola, essendo la nota del Sig. S.S. datata 12/01/2004” (sent. CTR, p. XVI).
15.3. Invero la motivazione addotta dalla CTR non appare completamente intellegibile. Il giudice dell’appello ritiene non essere certo che l’intera somma di Lire 1.300.000.000 sia stata corrisposta a titolo di caparra, ma non chiarisce se invece ritenga raggiunta la prova del versamento (che reputa sia da ritenersi deducibile ?) della caparra confirmatoria per un importo minore, come del resto previsto dall’originario contratto preliminare (Lire 500.000.000). Inoltre, la CTR non illustra se ritenga dimostrato, e come, che si era verificato l’inadempimento dell’acquirente, evento che avrebbe legittimato il venditore al trattenimento della caparra nella prospettazione della contribuente.
15.3.1. Anche le censure proposte dalla ricorrente presentano delle criticità, ad esempio perché afferma che tutte le ricevute rilasciate dal S. recavano la specificazione di essere emesse in relazione al versamento di somme attinenti alla “caparra rafforzata”, ma la contribuente non ha cura di riportare il testo integrale delle dichiarazioni rilasciate dal terzo, e neppure specifica se i documenti siano dotati di data certa. La ricorrente neanche provvede a riportare il testo integrale della pattuizione contenuta nella scrittura privata, secondo cui il veditore avrebbe avuto diritto di non restituire gli importi ricevuti quale caparra, modificandosi le pattuizioni contenute nel preliminare stipulato dalle stesse parti.
15.4. Non occorre tuttavia soffermarsi oltre sugli indicati profili. Osserva infatti la CTR, proponendo un’ulteriore ed autonoma ratio decidendi, che avendo il venditore dichiarato di trattenere la caparra nell’anno 2004, non vi era plausibile ragione, per la società odierna ricorrente, di dichiarare la perdita su credito, invocandone la deduzione, nell’anno 2007. La società afferma di essersi resa conto dell’irrecuperabilità delle somme soltanto nell’anno 2007, ma non è utilmente invocabile la propria negligenza al fine di modificare discrezionalmente i criteri legali in materia di imputazione temporale di perdite subite, al fine di invocarne la deducibilità.
Anche il nono ed il decimo strumento di impugnazione risultano pertanto infondati e devono essere respinti.
In definitiva, il ricorso introdotto dalla I. Srl deve essere respinto.
16. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della causa.
16.1. Risultano integrati i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del c.d. doppio contributo.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
rigetta il ricorso proposto dalla I. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della costituita Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 35.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto