Corte di Cassazione, ordinanza n. 28064 depositata il 5 ottobre 2023
perdite fiscali – limite alla possibilità emendabilità della dichiarazione
FATTI DI CAUSA
1. Con avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2006 venivano recuperati a tassazione, nei confronti della società C. SRL, a seguito della corretta imputazione all’esercizio precedente (2005), alcune delle componenti negative del reddito d’impresa portate in deduzione con riferimento alla predetta annualità 2006, per un importo complessivo di euro 30.007,98.
L’Ufficio fondava il recupero sull’applicazione della regola posta dall’art. 109 del DPR n. 917 del 1986, norma che impone che tanto i componenti positivi quanto quelli negativi del reddito di impresa di una determinata società contribuente concorrano a formare il reddito imponibile nell’esercizio fiscale di competenza. L’accertamento veniva definito con adesione in data 18 ottobre 2010.
2. Rideterminati i componenti negativi del reddito di impresa dichiarato nell’anno di effettiva competenza degli stessi (il 2005), la società, con istanza di rimborso presentata il 17 settembre 2012, chiedeva quindi la restituzione delle maggiori Ires e Irap corrisposte, oltre che nel predetto anno 2005, anche nei successivi anni 2007, 2008, 2009 e 2010.
La società invocava tra l’altro la circolare n. 23/2010 dell’Amministrazione fiscale, la quale aveva chiarito che, una volta accertati i costi di competenza di un periodo di imposta diverso da quello in corrispondenza del quale siano stati dichiarati e una volta scaduto il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa dei redditi relativa al periodo di effettiva competenza fiscale, è possibile presentare istanza di rimborso della maggiore imposta versata nell’annualità cui le componenti negative siano inerenti.
3. L’Agenzia delle entrate disponeva il rimborso parziale, limitatamente all’anno d’imposta 2005, ossia all’anno cui i componenti negativi disconosciuti con riferimento al 2006 risultavano effettivamente maturati. La medesima istanza di rimborso veniva viceversa rigettata relativamente agli anni 2007 e 2008, perché, secondo la motivazione offerta dal provvedimento di diniego, lo spostamento delle poste negative all’anno di effettiva competenza fiscale, vale a dire il 2005, se giustificava il rimborso per quell’anno, non poteva comunque valere a consentire il riporto della eventuale perdita registrata in quell’anno a seguito dell’operata deduzione fiscale, nei periodi di imposta successivi a quello, il 2006, definito in maniera irretrattabile, mediante il suddetto accertamento con adesione.
4. La società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, dolendosi della violazione dell’art. 84 del DPR n. 917/1986, nel testo ratione temporis vigente, il quale permetteva di riportare in avanti le perdite registrate in una data annualità di imposta nei periodi fiscali successivi, nella misura in cui il reddito imponibile dichiarato in quegli stessi periodi fosse capiente e comunque entro un quinquennio.
La Commissione provinciale accoglieva il ricorso della contribuente e la CTR del Lazio rigettava l’appello dell’Amministrazione con sentenza n. 1160/2019, depositata in data 27.02.2019.
5. Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle Entrate con unico motivo.
La società contribuente è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, rubricato “Violazione / falsa applicazione dell’art. 84, I comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, preso nel testo ratione temporis vigente, in combinato disposto con l’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione all’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c.”, l’Amministrazione contesta l’assunto del giudice di appello secondo cui l’art. 84 del DPR n. 917/1986, nel testo ratione temporis vigente, non precluderebbe alla società contribuente che si è vista disconoscere componenti negative del proprio reddito dichiarate con riferimento a un dato periodo di imposta, stante l’accertata inerenza di quelle stesse componenti a un periodo fiscale differente, di riportare l’eventuale perdita registrata nel periodo da ultimo indicato, in conseguenza dell’imputazione a quest’ultimo delle componenti negative in discorso, nei periodi fiscali successivi, fatta eccezione unicamente per quello rispetto al quale operi un accertamento fiscale divenuto definitivo.
Afferma la ricorrente che tale ratio decidendi non coglie l’esatta portata e l’effettivo significato giuridico dell’opzione con cui si decida di utilizzare le perdite registrate in un periodo fiscale antecedente, portandole in deduzione dal reddito di impresa dichiarato in un anno di imposta successivo. La scelta in questione avrebbe un indubbio valore negoziale poiché con essa il soggetto esercente attività d’impresa si determina a portare in deduzione perdite maturate in periodi di imposta precedenti in un’annualità piuttosto che in un’altra, per intero oppure in parte, e di conseguenza con tale scelta il contribuente dispone del proprio diritto di portare in deduzione le perdite pregresse, ponendo in essere un’attività alla quale non può attribuirsi un valore meramente dichiarativo.
2. Il motivo è fondato.
Secondo l’ormai prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità, l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dall’art. 84 T.u.i.r., di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale (vedi Cass. n. 6977/2015).
Il testo della norma, infatti, riconosce una facoltà al contribuente e, anche con le proposizioni successive, ne puntualizza le modalità di esercizio.
In linea generale, dunque, il contribuente deve far valere l’errore commesso nella dichiarazione secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all’art. 1427 e ss. cod. civ. e, cioè, sotto il duplice profilo della essenzialità, nella specie dovendo ravvisarsi tale requisito nell’errore che cade sulla “qualità di perdita” dell’importo da portare in diminuzione, o ancora nell’errore determinato da ignoranza od errata comprensione della portata delle norme tributarie applicabili, e della obiettiva riconoscibilità, da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli uffici accertatori (vedi Cass. n. 7294/2012).
3. Di recente questa Corte ha ribadito che “in tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, l’esercizio della facoltà di opzione di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, riservata al contribuente dall’art. 102 (ora 84) del d.P.R. n. 917 del 1986, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che non può essere oggetto di rettifica, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore nel quale è incorso, ai sensi degli artt. 1427 e ss. cod. civ.” (Cass. n. 18043/2023; n. 16977/2019; vedi anche Cass. n. 5105/2019; n. 25566/2017).
Quindi, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, si deve concludere che, in tema di utilizzo delle perdite fiscali pregresse, il contribuente è libero di decidere se e quando utilizzare le perdite fiscali a scomputo dei redditi futuri, in quanto la norma gli attribuisce la facoltà di utilizzare le perdite mediante l’esercizio di un’opzione da manifestarsi nella dichiarazione fiscale; tale dichiarazione, che in linea generale rappresenta una dichiarazione di scienza, nella parte in cui il contribuente decide di utilizzare le perdite fiscali costituisce un atto negoziale e pertanto non può essere oggetto di ritrattazione.
4. Nel caso di specie, la circostanza di fatto incontroversa che la società contribuente non abbia esercitato l’opzione in dichiarazione, mediante l’utilizzo delle perdite pregresse risalenti al 2005, non consente di riconoscere un mero errore materiale obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo.
5. Né, come più volte affermato da questa Corte, l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, evitabile dal contribuente – come effettivamente verificatosi nel caso di specie – con la richiesta di restituzione della maggior imposta versata nell’annualità in cui ha omesso di contabilizzare costi di competenza, richiesta proponibile, a norma dell’art. 2935 cod. civ. a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi indebitamente dedotti nella annualità non di competenza (vedi Cass. n. 6331/2008; n. 24006/2018).
6. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente.
Si compensano le spese dei gradi di merito, stante la peculiarità delle questioni trattate.
Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, respinge il ricorso originario della contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito.
Condanna l’intimata al pagamento delle spese, che liquida in € 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.
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