CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32733 depositata il 2 settembre 2021
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Omessa annotazione in contabilità della cessione di crediti – Tenuta irregolare della contabilità – Singola omissione – Ostacolo alla ricostruzione del patrimonio societario – Esclusione – Condanna per il reato di bancarotta fraudolenta – Illegittimità
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, emessa il 26 novembre 2019, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione del tribunale in sede del 31 maggio 2017, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di R.B.B.B., nella qualità di amministratore unico sino all’11 maggio 2009, per il reato di bancarotta documentale (capo b)), in riferimento, tra l’altro, all’omessa annotazione, nella contabilità di G. P. S.r.I., dichiarata fallita il 17 febbraio 2010, della cessione di crediti per oltre 215.000,00 in favore del socio C.N.S. s.r.I..
1.1. I fatti riguardano le vicende di G. P. s.r.I., di cui erano soci C.N.S. s.r.l. e L. s.a. dichiarata fallita con sentenza del 17 febbraio 2010, e della quale il B.B.B. era stato amministratore unico dalla costituzione all’11 maggio 2009, data nella quale gli era succeduto, in qualità di liquidatore, I.M., coimputato deceduto.
Con la sentenza di primo grado, è stata affermata la responsabilità penale dell’imputato per il reato di bancarotta documentale, mentre il medesimo è stato assolto dalla fattispecie patrimoniale, ascrittagli al capo a), in riferimento alla distrazione della somma di Euro 215.827,09, costituente parte del corrispettivo della cessione delle partecipazioni sociali di N.S. s.r.l. e L. s.a. in favore di S. s.r.l. e N.C. s.r.I., regolata mediante accollo dei debiti delle cessionarie verso la fallita; operazione perfezionata in data 28 luglio 2008, e non compiutamente registrata nelle scritture contabili.
1.2. Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha confermato l’affermazione di responsabilità, reputando che le omissioni contabili rilevate dal curatore avessero comunque ostacolato la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita, in un contesto di consapevole e volontaria frammentarietà delle annotazioni, finalizzata «a recare pregiudizio al soddisfacimento delle pretese creditorie».
2. Avverso la indicata sentenza della Corte d’appello di Firenze ha proposto ricorso l’imputato con atto a firma del difensore, avv. G.M.F., affidando le proprie censure a cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale, pur in presenza della parziale omissione, relativa ad una singola operazione, e della inoffensività della condotta, avendo il curatore ricostruito i termini della contestata cessione, e delle relative modalità di pagamento, attraverso la mera acquisizione dei relativi documenti, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.2. Con il secondo motivo, deduce analoga censura in riferimento all’avvicendamento nella carica gestoria, non avendo la Corte territoriale dato conto di atti di immistione del ricorrente in epoca successiva al subingresso del M..
2.3. Il terzo motivo svolge la medesima critica in relazione all’elemento soggettivo del reato, ritenuto in assenza degli indici rivelatori della volontà di tenuta delle scritture contabili in guisa da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, anche alla luce dell’assoluzione dell’imputato dalla sottesa fattispecie patrimoniale.
2.4. Con il quarto motivo, si deducono gli stessi vizi quanto al diniego della qualificazione giuridica del fatto in termini di bancarotta semplice, per avere sul punto la Corte territoriale omesso ogni valutazione, pur a fronte delle doglianze esposte specificamente con il gravame.
2.5. Il quinto motivo censura il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, fondato sull’esistenza di un precedente penale erroneamente ritenuto ostativo, trattandosi di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, rispetto alla quale risulta maturata la fattispecie estintiva prevista dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen..
3. Con requisitoria scritta ex art. 23 d.I.. n. 137 del 14 maggio 2021, il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio, in accoglimento del terzo motivo di ricorso.
4. Nell’interesse dell’imputato, il difensore ha presentato una memoria, con la quale ha ribadito le ragioni dell’impugnazione.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1. La complessiva articolazione dei motivi di ricorso evidenzia diversi e concorrenti profili di criticità della sentenza impugnata.
1.1. All’imputato, nella qualità di amministratore unico sino all’11 maggio 2009 di G. P. s.r.I., dichiarata fallita il 17 febbraio 2010, sono stati originariamente contestati i reati di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale generica, in riferimento alla medesima operazione, relativa cessione delle partecipazioni sociali di N.S. s.r.l. e L. s.a. in favore di S. e N.C. s.r.I., regolata mediante accollo dei debiti delle cessionarie verso la fallita; operazione perfezionata in data 28 luglio 2008, e non compiutamente registrata nelle scritture contabili.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha escluso la natura distrattiva della predetta cessione, reputando l’insussistenza di profili di pericolosità, in concreto, delle modalità di pagamento del corrispettivo, potendo persino l’operazione rivelarsi vantaggiosa, laddove le società cessionarie si fossero rivelate solvibili (f. 7 sentenza di primo grado).
L’omessa annotazione, nella contabilità di G. P. s.r.I., dichiarata fallita il 17 febbraio 2010, della cessione di crediti per oltre 215.000,00 in favore del socio C.N.S. s.r.l. è stata, invece„ ritenuta penalmente rilevante, in quanto l’imputato, che aveva incontestatamente ammesso di aver personalmente gestito i rapporti societari, era venuto a trovarsi in una situazione di conflitto d’interessi perseguendo, nel contempo, la massimizzazione dei profitti delle società cedenti e l’effettiva esazione dei crediti di G. P., con conseguente piena consapevolezza delle relative omissioni contabili.
Nel quadro così delineato, la questione che si impone all’analisi investe se le rilevate omissioni annotative, relative ad un’unica operazione, configurino l’elemento materiale del reato contestato e se, ed in quale misura, la ricostruzione aliunde dei termini della cessione (rectius: della annotazione relativa al titolo sotteso ai debiti oggetto di accollo) incida sull’offensività della condotta.
1.2. Mette conto rilevare come il reato di bancarotta documentale c.d. generica – fattispecie alternativa alla diversa ipotesi di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838) – integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi, e si realizza sempre con una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Montanari, Rv. 278321).
Anche l’omissione parziale del dovere annotativo può integrare la fattispecie di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., in quanto rientra nell’ambito della norma incriminatrice anche la condotta di falsificazione dei dati realizzata attraverso la rappresentazione dell’evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa (Sez. 5, n. 3114 del 17/12/2010, dep. 2011, Zaccaria, Rv. 249266); ciò in quanto nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne la loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza, come accade quando la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa renda necessario fare capo a fonti di documentazione esterne (Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455), e sempre che sussistano indici di fraudolenza tali da fondare, in concreto, la pericolosità della condotta (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763).
In siffatto contesto, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito viene a qualificare la ipotesi di bancarotta fraudolenta per irregolare tenuta delle scritture contabili di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., costituendo la linea di discrimen con la diversa fattispecie di bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, dep. 2021, Cammarota, Rv. 280729, N. 2900 del 2019 Rv. 274630, N. 55065 del 2016 Rv. 268867, N. 26613 del 2019 Rv. 276910), che non postula analoga attitudine modale.
1.3. Trattandosi di reato di pericolo concreto, il dolo generico deve essere desunto, con metodo logico-inferenziale, dalle modalità della condotta contestata, e non dal solo fatto che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, fatto che costituisce l’elemento materiale del reato ed è comune alla diversa e meno grave fattispecie di bancarotta semplice, incriminata dall’art. 217, comma secondo, legge fall.; né può essere dedotto da circostanze successive rispetto al fatto-reato, postulandosi la necessità di una motivazione particolarmente rigorosa sull’elemento soggettivo dell’addebito quando la prova dell’elemento soggettivo non possa, in assenza di una parallela fattispecie patrimoniale, giovarsi della presunzione per la quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili è, di regola, funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani, Rv. 276910).
1.4. Nel caso in esame, sebbene l’imputazione riguardi la tenuta irregolare della contabilità in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, la contestazione evoca altresì il profilo di dolo specifico del fine di realizzare un ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori, proprio delle condotte di occultamento e/o sottrazione, in tal modo unitariamente avvincendo, nella struttura originaria della imputazione, le due fattispecie oggetto di genetica contestazione, ma interessate da diversi esiti decisori.
2. Tanto premesso, escluso che sia stata contestata la fattispecie a dolo specifico di sottrazione o occultamento, molteplici sono le carenze motivazionali riguardo gli elementi costitutivi del reato.
2.1. Risulta, infatti, che l’imputato, già amministratore di diritto della società fallita, abbia consegnato al curatore una serie di scritture contabili, rispetto ai quali l’unica omissione rilevata riguarda il titolo giustificativo dei crediti, originariamente contestati sub a), di cui è stata, tuttavia, esclusa la natura distrattiva.
Rispetto alla mancata annotazione di un’unica operazione, reputata finanche accrescitiva del patrimonio sociale (§ 1.1.), la Corte d’appello non ha giustificato se ed in quale misura la rilevata omissione abbia inciso sull’idoneità complessiva della contabilità a garantire la trasparenza delle vicende societaria; né ha tratto dall’intervenuta assoluzione dalla fattispecie patrimoniale il venir meno di quell’intento dissimulatorio, pure evocato dall’originaria contestazione.
Ha, invece, risolto la sussistenza dell’elemento materiale nella mera equazione tra omissione annotativa e compromissione complessiva dell’attendibilità delle scritture, in tal modo elaborando una motivazione apodittica; così come frutto di mera asserzione, sostanzialmente abdicativa delle questioni proposte con l’appello, è il rilievo assegnato alla “particolare diligenza” richiesta al curatore per l’accertamento aliunde degli esatti termini dell’operazione.
Anche in relazione al versante soggettivo dell’imputazione, l’avversata sentenza ha, sostanzialmente, rinunciato all’analisi critica dei motivi d’appello, incorrendo in evidente contraddittorietà laddove„ al fine di sostanziare il dolo – generico – ha fatto ricorso ad una intenzionalità dissimulatoria, non coerente con la ritenuta neutralità patrimoniale e finanziaria, dell’operazione di cessione.
2.2. A tanto aggiungasi come risulti del tutto ignorato il tema della diversa;
qualificazione giuridica del fatto, in termini di bancarotta semplice, prospettato con il gravame.
2.1.1. Come già supra rilevato, la contestata condotta di tenuta incompleta delle scritture contabili può rilevare come bancarotta fraudolenta solo quando l’omissione sia funzionale a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; la stessa condotta materiale può, nondimeno, integrare il reato di bancarotta semplice, in quanto le due fattispecie criminose si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 217, comma secondo, legge fall., può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2), legge fall., l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630).
In altri termini, la qualificazione dello stesso fatto materiale richiede l’analisi del requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito; elemento connotativo della più grave fattispecie di cui all’art. 216 e, invece, estraneo al fatto tipico descritto nell’art. 217, comma secondo, l fall. (Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867).
2.1.2. Nel caso in esame, la sentenza impugnata appare del tutto carente in relazione alla qualificazione giuridica, avendo affermato la sussistenza della più grave fattispecie in maniera assertiva, ignorando in toto i criteri distintivi tra bancarotta fraudolenta e semplice, e sostenendo che l’elemento soggettivo dovesse desumersi sic et simpliciter dalla consapevolezza e volontà dell’omissione, non indotta da terzi. In tal modo, la Corte territoriale ha automaticamente ritratto dal dato oggettivo l’esistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà di tenere le scritture contabili in maniera da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, e la cui sussistenza va, dunque, affermata, secondo un procedimento logico-inferenziale, sulla base delle modalità della condotta contestata – nella specie, la tenuta irregolare della contabilità — e non già sulla base del rilievo della mera omissione.
Va, infine, evidenziato che, venuta meno la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale originariamente contestata, la motivazione concernente la sussistenza degli indici di fraudolenza della condotta di tenuta irregolare delle scritture contabili deve essere maggiormente rigorosa, in quanto la consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione patrimoniale e finanziaria della società fallita di per sé celerebbe, sul piano pratico, lo scopo dli danneggiare i creditori (animus nocendi) o di procurarsi un vantaggio (animus lucrandi), essendo sovente funzionale, secondo massime di esperienza consolidate, alla dissimulazione o all’occultamento di atti depauperativi del patrimonio sociale; il che implica come nessuna agevolazione dimostrativa del dolo del reato superstite possa derivare da una vicenda patrimoniale che sia stata ritenuta penalmente insussistente.
Va, pertanto, qui specificato il principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma primo, n. 2, L.F.), è illegittima l’affermazione di responsabilità dell’amministratore che faccia derivare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato dal solo fatto, costituente l’elemento materiale del reato, che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, considerato che, in tal caso, trattandosi per di più, nella specie, di omissione limitata ad una singola operazione, che impone di chiarire gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva impossibilità e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza por mente alle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest’ultimo caso, si integra l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma secondo, L.F. (Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, deo. 2007, Vianello, Rv. 236032; analogamente, Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384).
3. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze, restando assorbite le doglianze concernenti il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
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