Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 24810 depositata il 10 maggio 2023
bancarotta documentale fraudolente – onere della prova per l’accusa
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21 gennaio 2022 la Corte d’appello di Firenze, «esclusa l’aggravante contestata», ha confermato la decisione di primo grado, quanto: a) all’affermazione di responsabilità di S.M., in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatole quale amministratrice, dal 7 maggio 2010 al giorno 8 marzo 2011, della C.M. s.r.l., dichiarata fallita in data 22 giugno 2011; b) alla condanna dell’imputata alla pena, condizionalmente sospesa, di due anni di reclusione, e al risarcimento del danno in favore delle parti civili da determinarsi in separata sede. La medesima Corte ha, in riforma della decisione di primo grado, rideterminato la durata delle pene accessorie fallimentari.
La Corte d’appello ha rilevato: a) che la S.M. non aveva adempiuto l’obbligo di regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, così contribuendo a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e clel movimento degli affari; b) che siffatta conclusione era sorretta dal rilievo che la documentazione contabile consegnata al curatore in data 24 ottobre 2011, da parte di B.M., ossia del legale rappresentante della società al momento del fallimento, corrispondeva a quella trasferita dallo studio B. allo studio G. nel momento in cui era mutata la compagine sociale; c) che doveva ritenersi sussistente il dolo generico, dal momento che l’imputata si era consapevolmente prestata alla gestione della società del padre, venendo meno agli obblighi connessi alla funzione assunta, consapevolmente avallando l’attività dell’amministratore di fatto. La Corte territoriale ha ritenuto inammissibili i motivi nuovi con i quali, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., l’appellante aveva chiesto l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, l. fall..
2. Nell’interesse della S.M. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge.
Premesso che, nel caso di specie, non erano stati rinvenuti i libri sociali e il libro dei beni ammortizzabili e che il libro giornale e i registri I.V.A. risultavano aggiornati solo sino al 31 dicembre 2008, rileva la ricorrente: a) che sotto la sua gestione era stato regolarmente depositato, in data 20 ottobre 2010, il bilancio e che tanto confermava la regolarità della gestione; b) che la cessazione dalla carica era avvenuta prima della scadenza del termine per la presentazione del nuovo bilancio; c) che la materiale gestione della contabilità era affidata ad altri; d) che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la fattispecie incriminatrice contestata richiede il dolo specifico; e) che, in ogni caso, la Corte d’appello non aveva argomentato neanche in ordine alla sussistenza del dolo generico, sotto il profilo della consapevolezza dell’irregolare tenuta delle scritture contabili: ciò sia in relazione all’affidamento a terzi del compito sia alla luce dell’intervenuta assoluzione dell’imputata, sin dal primo grado, dall’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale; f) che, al riguardo, il Tribunale aveva sottolineato che fosse assente la dimostrazione della effettiva conoscenza, da parte dell’imputata, delle vicende della società, da lei formalmente amministrata, e di un effettivo coinvolgimento nelle decisioni gestionali assunte dal padre; g) che, in tale contesto, era del tutto tautologica l’affermazione secondo la quale la S.M. avrebbe consapevolmente avallato le scelte dell’amministratore di fatto in tema di tenuta delle scritture contabili.
2.2 Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge per avere la Corte territoriale, investita sul punto da censure specifiche, omesso di prendere in considerazione elementi fattuali idonei a minare la tenuta logico-giuridica della decisione di primo grado: si tratta, in particolare, dei dati dimostrativi dell’effettiva esistenza della documentazione contabile richiesta e della colposa dispersione della stessa da parte di soggetti terzi.
2.3 Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali nonché inosservanza o erronea applicazione dell’art. 217, secondo comma, l. fall. in relazione al mancato accoglimento della richiesta di riqualificazione del reato come bancarotta semplice, con conseguente dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
2.4 Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 585, cornma 4, cod. , in relazione alla declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti con i quali si era contestata la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 219, primo comma, l. fall.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. M.P., la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
4. All’udienza del 10 maggio 2023 si è svolta la trattazione orale del processo.
Considerato in diritto
1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione. Essi sono fondati.
Ancora di recente (Sez. 5, n. 15743 del 18/02/2023, Gualandri), questa Corte ha ribadito: a) che alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell’onere probatorio per l’accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito (v., già, Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550, in motivazione); b) che anche in relazione alla bancarotta documentale correlata alle modalità di tenuta delle scritture contabili, l’affermazione di responsabilità non può derivare dalla mera constatazione dello stato delle scritture contabili, da cui si faccia derivare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato; al contrario, è necessario, con metodo inferenziale, chiarire dalle modalità della condotta contestata la ragione e gli elementi sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l’oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, considerato che, in tal caso, viene integrato l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, di cui all’art. 217, comma secondo, l. fall.; c) che non comporta alcun automatismo l’approdo ermeneutico formatosi con riguardo all’amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della società fallita risulta sen; a alcun dubbio il destinatario dell’obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall’art. 2392 cod. civ., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull’operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.; d) che, infatti, non può affermarsi la responsabilità dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell’integrazione dell’elemento materiale del reato, come osservato anche da Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280, che ha ribadito la necessità di dimostrare l’effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale; e) che, in altri termini, pur non essendo necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, è, nondimeno, necessario che l’abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, ciò nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada; f) che, pertanto, il giudice deve fornire adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l’effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno.
La diversità degli accertamenti discende anche dalla puntuale individuazione della fattispecie di bancarotta documentale che i giudici di merito ritengano sussistente.
Infatti, va ribadita la differenza strutturale tra le due categorie di bancarotta documentale: da un lato, quella che ricomprende l’omessa tenuta delle scritture, ovvero la loro distruzione o il loro occultamento, e, dall’altro, quella relativa alla fraudolenta tenuta delle stesse. Pur a fronte di una modalità alternativa di contestazione (da ultimo: Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati Lina, Rv. 280572), se, in sede di accertamento, emerga la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, anche nella forma della loro omessa tenuta, non può essere addebitata all’agente la fraudolenta tenuta delle medesime, proprio perché, come detto, tale ultima ipotesi implica un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari.
Come ricordato dalla citata Sez. 5 n. 15743 del 2023, qualora emerga, sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilità sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta e che detta ultima situazione renda impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, evidentemente proprio la descritta struttura della norma rende possibile non solo la contestazione alternativa, ma anche la sufficienza, ai fini delle individuazione della fattispecie penalmente rilevante, dell’accertamento di una sola delle condotte, ancorché diversamente strutturate, purché risulti possibile configurare anche il relativo elemento soggettivo.
Ciò che, invece, non appare in alcun modo possibile è la confusione tra le due diverse condotte, data la loro specificità strutturale, sia sotto l’aspetto della condotta che dell’elemento soggettivo.
In tale contesto, la sentenza impugnata, proprio alla luce dell’assoluzione dell’imputata dall’accusa di bancarotta distrattiva, per mancata consapevolezza dei disegni dell’amministratore di fatto, dopo avere preso puntuale posizione sul tipo di bancarotta documentale ritenuta, avrebbe dovuto indagare e argomentare in ordine agli indici rilevatori dell’elemento soggettivo.
Il cenno al consapevole avallo delle scelte gestionali dell’amministratore di fatto è del tutto assertivo e non correlato ad alcuna specifica risultanza istruttoria. Ne segue l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
2. L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo.
3. Il quarto motivo è infondato.
In disparte il senso dell’esclusione della circostanza aggravante della quale è menzione nel dispositivo della sentenza impugnata (tema estraneo all’oggetto del ricorso), le Sezioni Unite hanno precisato che i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, comma 4, cod. proc. pen.) ed il procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, comma 1, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’oriç;1inario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono, Rv. 210259-01; di recente, a riprova della continuità dell’orientamento, v. Sez. 3, n. 2873 del 30/11/2022, dep. 2023, Guarnaccia, Rv. 284036 – O).
In altri termini, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la “novità” è riferita ai “motivi” e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso (Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Califano, Rv. 251482 – 01).
Come chiarito da Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216238 – 01, in motivazione: a) la nozione di “capo della sentenza” è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato; b) che i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato e dunque, in primo luogo, all’accertamento della responsabilità ed alla determinazione della pena, che rappresentano, appunto, due distinti punti della sentenza; c) che, pertanto, ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto, l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e – nel caso di condanna- l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio.
Ne discende che la contestazione della sussistenza dei presupposti in fatto e in diritto di una circostanza aggravante costituisce uno dei punti della sentenza, destinato ad essere oggetto di specifica impugnazione nei termini previsti dal legislatore e non aggirabili attraverso il ricorso ai motivi nuovi.
Coerentemente, è stato ritenuto che il motivo inerente alla configurabilità della recidiva costituisce un punto autonomo della decisione, sicché, ove l’appello originario abbia avuto riguardo ad altri aspetti del trattamento sanzionatorio (la configurabilità di un’aggravante, il riconoscimento delle attenuanti generiche, il bilanciamento tra le circostanze e la misura della pena), non ci si può dolere, con motivi aggiunti, dell’insufficiente motivazione o della violazione delle disposizioni in tema di recidiva (Sez. 5, n. 40390 del 19/09/2022, Milucci, Rv. 283803 – 01; per l’affermazione del medesimo principio di carattere generale, v. anche Sez. 6, n. 5447 del 06/10/2020, dep. 2021, Paun, Rv. ?80783 – O; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Braidic, Rv. 268980 – O).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente alla bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso. Spese delle parti civili al definitivo.
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