La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 49472 depositata il 9 dicembre 2013 intervenendo in tema di reati fallimentari ha statuito che in tema di bancarotta fraudolenta impropria, l’extraneus concorre nel reato proprio dell’amministratore quando sia l’istigatore o il beneficiano di operazioni dolose volte a depauperare il patrimonio dell’impresa. Riconoscendo la responsabilità di un ex dipendente di una società poi fallita, per aver contribuito a costituire una nuova compagine sociale, di cui era anche quotista e amministratore, allo scopo di sottrarre beni al patrimonio dell’azienda in difficoltà.
Per i giudici di legittimità al fine di integrare tale responsabilità è sufficiente che il soggetto “risulti consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo invece necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi”.
La vicenda ha riguardato un dipendente il quale rivestiva all’interno di una società fallita ritenuta responsabile per aver contribuito alla costituzione della Costruzioni P. srl, divenendone quotista di minoranza insieme ad altri dipendenti, nonché amministratore e della stipulato il contratto di locazione. Inoltre veniva accusata, in tale qualità, la posizione di ragioniera e fiduciaria dell’amministratore di diritto, a cui fu molto vicina nella fase terminale della società, contribuendo in tal modo all’assunzione delle decisioni che portarono ai pagamenti preferenziali di cui al capo d) e alla stipula dei contratto di locazione di cui al capo e) – avente ad oggetto beni mobili ed immobili – con cui la società si spogliò di buona parte delle sue attività.
Il Tribunale condannava entrambi i soggetti in concorso con l’amministratore rispettivamente per il reato di bancarotta preferenziale ed il reato di bancarotta per distrazione. La sentenza veniva confermata anche in sede di Appello.
Gli imputati per la cassazione della sentenza di appello proponevano ricorso, basato su cinque motivi di censura, alla Corte Suprema per A. mentre si affidava ad un unico motivo M.
Gli Ermellini respingono i ricorsi riconoscendo la sola prescrizione dei reati.
In base al principio costante della Corte Suprema, “il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito … può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela”.
Nella fattispecie esaminata dalla Corte Suprema era stato stipulato un contratto d’affitto della durata di 6 anni a favore di una società riconducibile al fallito, con l’effetto di far perdere alla srl sul ciglio del baratro la possibilità di “svolgere qualsiasi proficua attività”.
Non avendo alcuna rilevanza la giustificazione dell’imputata inerente allo scopo di conservare il posto di lavoro “elide l’antigiuridicità della condotta, posto che il dolo di bancarotta è integrato, nella specie, dalla consapevole volontà dei singoli atti di sottrazione, occultamento o distrazione e, comunque, di quegli atti con i quali si viene a dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa, con la consapevolezza di compiere atti che cagionano, o possono cagionare, danno ai creditori”.
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