La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 3108 depositata il 24 gennaio 2024, intervenendo in tema del delitto di truffa inerente il Superbonus edilizio, ha riaffermato il principio di diritto che “… in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del cd. “superbonus 110%”), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto (sez. 3, n. 40865 del 21/09/2022, Decio, Rv. 283701; conf. sez. 2, n. 33463 del 09/12/2022, dep. 2023, n.m.; sez. 2, n. 16728 del 12/01/2023, n.m.) …”
Per cui coloro che acquisiscono, anche in buona fede, un credito Superbonus illegale tramite cessione sono soggetti ad un provvedimento di sequestro preventivo impeditivo in quanto il credito è “cosa pertinente al reato”. Infatti per la Suprema Corte il comma 4 dell’art. 121 del D.L. n. 34 del 2020 consente di emettere un provvedimento di sequestro preventivo impeditivo anche nei confronti del cessionario, quand’anche in buona fede, di un credito Superbonus per il solo utilizzo irregolare dello stesso.
La vicenda ha visto protagonista un istituto di credito, che aveva acquisito un credito c.d. Superbonus maturati in capo al cedente in maniera fraudolenta, nei cui confronti era stato disposto un decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip in relazione ai reati di truffa e di autoriciclaggio, contestati a vari soggetti, per condotte illecite consistite nella mancata esecuzione di opere edili appaltate ammesse all’agevolazione fiscale denominata “Superbonus 110%”, oggetto di S.A.L., di false asseverazioni e fatturazioni al committente, con conseguente riconoscimento di crediti di imposta, monetizzati attraverso la successiva cessione a istituti di credito. Lìistituo di credito impugnava il provvedimento del GIP innanzi al Tribunale del riesame ritenendo che il periculum in mora indicato nella possibilità di ulteriori operazioni illecite, a seguito dell’incameramento di somme rilevanti poteva riferirsi solo agli indagati e non a sé stessa, “in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall’art. 121, dl 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione”. Il Tribunale del riesame con propria ordinanza rigettava l’istanza della banca. Avverso tale decisione l’istituto di credito proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso ribadendo che “… Il sequestro impeditivo di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (tra le altre, Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513). …”
Gli Ermellini precisano che i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del d.l. n. 34/2020, i quali prevedono che i cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto, non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva, che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
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