La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 8301 depositata il 29 marzo 2025, intervenendo in tema tassazione degli interessi sulle spese di ristrutturazione, ha statuito il principio di diritto secondo cui la richiesta di pagamento degli interessi contrattualmente pattuiti dalle parti in conseguenza degli oneri sopportati dal locatore per la ristrutturazione dell’immobile, sia in caso di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, sia in caso di locazione di immobili ad uso abitativo, costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto; pertanto solo a seguito di tale richiesta il locatore può esigere il pagamento degli interessi, ne consegue che ove non sia stata richiesta la corresponsione, l’ente impositore non può invocare la presunzione di intervenuto versamento degli interessi ai fini dell’imposizione

La vicenda ha riguardato una società che aveva locato un proprio immobile di elevata quadratura. Nel contratto di locazione era previsto la pattuizione del diritto del locatore a percepire l’incremento annuale del canone in base all’incremento dell’indice Istat, nonché gli interessi sulle spese di ristrutturazione. Alla società veniva notificato, dall’Agenzia delle entrate, un avviso di accertamento induttivo con cui veniva contestato alla società di non aver dichiarato e sottoposto ad imposizione i maggiori redditi conseguenti all’incremento Istat annuale del canone di locazione, ed agli interessi sugli oneri sostenuti per la ristrutturazione dell’immobile. La società contribuente impugnava l’atto impositivo contestando, tra l’altro, il difetto di prova di aver conseguito i redditi che si pretendeva di sottoporre ad imposizione. I giudici tributari di primo grado reputavano fondate le difese della ricorrente, ed annullavano l’atto impositivo. I giudici tributari di secondo grado, a cui si era appellata l’Amministrazione finanziaria, confermavano la decisione impugnata. L’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza di appello proponevano ricorso per cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate.

Gli Ermellini hanno precisato che alla luce della riforma legislativa, che ha statuito l’esclusione  della  previsione  di  una  espressa  richiesta  di aggiornamento del canone, non stabilito che l’aggiornamento operi automaticamente per il sol fatto di essere stato contrattualmente previsto dalle parti. Inoltre è stato riaffermato che in tema di locazione, la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto, con la conseguenza che il locatore stesso può pretendere il canone aggiornato solo dal momento di tale richiesta, senza che sia configurabile un suo diritto ad ottenere il pagamento degli arretrati, e ciò sia in caso di locazione di immobili ad uso non abitativo, giusta disposto dell’art. 32 della legge cosiddetto sull’equo canone, sia in caso di locazioni ad uso abitativo, ex art. 24 stessa legge”, Cass. sez. III, 2.10.2003, n. 14673; e non si è mancato più di recente di confermare che “la richiesta di aggiornamento del canone da parte del locatore, sia in caso di locazione di immobili ad uso abitativo, sia in caso di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, costituisce condizione per il sorgere del relativo diritto. Ne consegue che solo a seguito di tale richiesta il locatore può domandare il canone aggiornato, per cui, ove non sia mai stato richiesto l’aggiornamento (o non sia stato convenuto tra le parti), lo stesso non rileva per la quantificazione dell’indennità ex art. 1591 cod. civ. per il ritardato rilascio dell’immobile”, Cass. sez. III, 26.5.2014, n. 11675; ed ancor più di recente si è ribadito che “in base all’art. 32 della l. n. 392 del 1978, così come novellato dall’art. 1, comma 9-sexies del d.l. n. 12 del 1985, conv. dalla l. n. 118 del 1985, il locatore, su conforme pattuizione con il conduttore, è abilitato a richiedere annualmente l’aggiornamento del canone per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta; pertanto, è contraria al disposto normativo la clausola che preveda una richiesta preventiva dell’aggiornamento con effetto attributivo di tutte le variazioni ISTAT che intervengano nel corso del rapporto ovvero una richiesta successiva riferita ad anni diversi da quello immediatamente precedente, e ciò perché la richiesta si pone come condizione per il sorgere del relativo diritto”, Cass. sez. III, 7.10.2021, n. 27287. Non vi è quindi questione di dimostrazione dell’intervenuta rinunzia all’adeguamento del canone, ma di prova che lo stesso sia stato almeno richiesto.”