La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 27575 depositata il 24 ottobre 2024, intervenendo in tema di decreto ingiuntivo per attività di consulenza professionale, ha ritenuto che l’attività di rispondere ai quesiti dell’Agenzia e impostare una prospettazione necessaria a tutelare la posizione della cliente costituisce consulenza e non assistenza.
La vicenda ha riguardato una società a cui uno studio associato che aveva fornito, non soltanto fornito prestazioni di assistenza tributaria consistente nella predisposizione di documenti di routine senza una specifica attività valutativa, ma aveva predisposto memorie illustrative e ricorsi, intrattenuto molteplici rapporti con la Direzione Regionale delle Entrate. In particolare lo studio professionale dopo aver analizzato il materiale che la procura della Repubblica ha trasmesso alle Entrate sul conto della società riguardante, tra l’altro scissioni, cessioni di quote e contratti di leasing evidenziava che sussisteva il rischio che alla srl poteva essere contestate operazioni fittizie, i professionisti consigliarono alla società di aderire al verbale di constatazione. Il consiglio fu seguito dalla contribuente, che così ottiene la riduzione di un ottavo delle sanzioni. Per la suddetta attività, non di routine, aveva, a seguito di inerzia della società, chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo. La srl proponeva opposizione al decreto ingiuntivo. Il Tribunale accoglieva l’opposizione, configurando l’attività svolta dallo Studio Associato come di mera assistenza tributaria. La Corte di Appello riformava la decisione di prime cure, ritenendo che l’opera dello studio professionale fosse da configurare come consulenza tributaria, e non come mera assistenza, e condannava la società appellata al pagamento del compenso preteso dallo studio, ridotto del 20% in ragione della natura e delle caratteristiche della prestazione professionale e della limitata durata dell’incarico. La società proponeva, avverso la sentenza di appello, ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di legittimità dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese di giudizio.
Gli Ermellini, nel confermare la sentenza impugnata, evidenziavano “A tale articolata ricostruzione del fatto e delle prove la parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).”