La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 13934 depositata il 20 maggio 2024, intervenendo in tema di licenziamento discriminatorio, ha ribadito il principio secondo cui “… la Corte di Giustizia UE ha da tempo affermato che la direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, C-2000/78/Ce, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e, in particolare, i suoi art. 1 e 2, 1 e 2, lett. a), devono essere interpretati nel senso che il divieto di discriminazione diretta ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili. Conseguentemente qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore che non sia esso stesso disabile, in modo sfavorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta enunciato al detto art. 2, n. 2, lett. a) (così Corte Giustizia UE, grande sezione, 17.7.2008, n. 303). …”

La vicenda ha riguardato una lavoratrice che assisteva il coniuge disabile e per il quale fruiva dei permessi di cui alla l. n. 104/1992. A seguito del rifiuto della dipendente a trasferirsi in una sede aziendale distante sia da quella di originaria adibizione che dalla residenza del coniuge assistito, veniva disposto e comunicato, dal datore di lavoro, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, decidendo sull’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in parziale accoglimento delle domande della lavoratrice istante, dichiarava risolto il rapporto di lavoro tra le parti e condannava la società convenuta al pagamento di venti mensilità dell’ultima retribuzione. Avverso tale decisione di primo grado, la dipendente proponeva appello. La Corte territoriale rigettava l’appello principale proposto dalla dipendente; accoglieva l’appello incidentale della società, per quanto di ragione, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, che nel resto confermava, quantificava l’indennità risarcitoria, al cui pagamento la società appellata era stata condannata in primo grado, in quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori. La lavoratrice proponeva ricorso in cassazione, avverso la sentenza di appello, fondato su due motivi; resistito l’intimata società con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di tre motivi.

I giudici di legittimità accolgono il primo e il secondo motivo del ricorso principale e rigettavano il ricorso incidentale.

Gli Ermellini evidenziano, innanzitutto, che “in tema di licenziamento discriminatorio, in forza dell’attenuazione del regime probatorio ordinario introdotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla CGUE, incombe sul lavoratore l’onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della misura litigiosa (così da ultimo Cass., sez. lav., 31.3.2023, n. 9095; ed ivi il richiamo ai precedenti di legittimità in senso conforme). …”

Per cui il Supremo consesso, alla luce della direttiva 2000/78/CE con il D.Lgs. 9.7.2003, n. 216, afferma che “… la condizione di handicap è senz’altro compresa nell’elenco tassativo dei fattori vietati di discriminazione, ma non è declinata (come nella stessa Direttiva cui ha dato attuazione) con precipuo ed esclusivo riferimento alla persona del lavoratore. …”