La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 222 depositata l’ 8 gennaio 2020 intervenendo in tema di dichiarazione fraudolente a mezzo fatture false ha affermato che la condotta illogica dell’imprenditore, insieme ad altri fattori, fornitore che non agisce in giudizio per riscuotere quanto gli spetta fa presumere che le operazioni siano fittizie.
La vicenda ha riguardato il legale rappresentante di una società cooperativa imputato per il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, nella sua qualità di legale rappresentante, al fine di evadere le imposte, indicato nella dichiarazione dei redditi elementi passivi fittivi, avvalendosi di fatture per operazioni in parte inesistenti. In particolare dalla verifica fiscale emergeva che la società oggetto dell’accertamento aveva ricevuto una serie numerose di fatture dal altre due cooperative, i cui rappresentanti erano il primo fratello e la seconda coniuge dell’imputato. Inoltre era emerso, non solo una sproporzione tra il numero dei dipendenti delle società fornitrice ed il loro fatturato, ma anche la circostanza di non aver sostenuto costi per prodotti o materiale e l’assenza di beni strumentali. Il Tribunale condannava l’imputato per il reato ascritto. Il legale rappresentante della società cooperativa impugnava la sentenza di condanna proponendo ricorso alla Corte di Appello. I giudici di appello confermavano la decisione resa dal Tribunale.
L’imputato impugnava la sentenza della Corte di Appello con ricorso in cassazione fondato su cinque motivi. In particolare lamentava l’errore che la Corte ha considerato inesistente una parte delle operazioni sulla base di mere presunzioni tributarie, che al più integrano dei meri indizi, ritenendo che spettasse all’imputato l’onere di provare l’esistenza di tali operazioni.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’imputato confermando la sua condanna e il conseguente provvedimento di confisca. I giudici del palazzaccio hanno ritenuto corretto l’operato dei giudici di secondo grado che hanno valorizzato la circostanza che nonostante il mancato pagamento delle fatture, le società fornitrici non avevano interrotto i rapporti con la società utilizzatrice e la totale assenza di “azioni dirette alla riscossione dei crediti, e considerando che tali crediti costituivano la quasi totalità delle entrate delle società fatturanti” nonostante che tali crediti costituivano la quasi totalità delle entrate delle società fatturanti. Tale condotta costituisce non solo una condotta illogica la quale accompagnata da altri indizi e dell’assenza di documentazione probatoria, ma anche sintomatica di una frode fiscale per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Ulteriormente avvalorata dal fatto che le società fornitrice non avevano mai versato l’iva corrispondente alle fatture emesse.
Per la Corte Suprema i giudici di merito avevano correttamente valorizzato una serie di ulteriori indizi di anomalia, emersi in sede di verifica quali:
- la mancanza della capacità produttiva e lavorativa delle società emittenti le fatture;
- l’assenza di costi per prodotti o materiale;
- l’assenza di beni strumentali;
- la mancanza della documentazione extra-contabile a supporto dell’effettiva esecuzione delle prestazioni relative ai contratti esaminati.
Pertanto per i giudici di legittimità è configurabile il reato di dichiarazione fraudolente (art. 2 D.Lgs. n. 74/2000) con utilizzo di elementi fittizi e del reato emissione di fatture false in presenza dei seguenti indizi:
- la mancata azione in giudizio per riscuotere dai clienti il saldo delle fatture emesse;
- la sproporzione tra numero di dipendenti (esiguo) ed importo elevato delle prestazioni fatturate.
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