La Corte di Cassazione sez. tributaria con sentenza n. 16859 del 05 luglio 2013 interviene in tema di outsourcing affermando che è elusiva la condotta del notaio che esternalizza i servizi dello studio, avvalendosi di una società che ha sede nei locali dello stesso studio, concessi in comodato gratuito, che gode delle agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno, che è partecipata al 90 per cento dal medesimo professionista e che ha assunto alle proprie dipendenze alcuni collaboratori di quest’ultimo, i quali in precedenza fornivano gli stessi servizi, ma a prezzi notevolmente inferiori. Incorre in errore il giudice tributario che considera il comportamento antieconomico del contribuente lavoratore autonomo non suscettibile di valutazione ai fini dell’accertamento tributario, in ossequio al principio di libertà d’impresa, sancito dall’articolo 41 della Costituzione.
La vicenda ha riguardato un notaio che ha impugnato un avviso di accertamento della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 1996, con il quale il Fisco, sulla scorta di un PVC della Guardia di Finanza, aveva proceduto al recupero di costi per oltre 200milioni delle vecchie lire, con applicazione delle sanzioni. Il giudizio ha avuto un iter tormentato, in quanto caratterizzato da un doppio giudizio d’appello. Il contribuente ha infatti proposto il ricorso per cassazione, dopo che la Suprema Corte, in accoglimento delle censure del Fisco, aveva rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale, per nuovo esame.
Gli Ermellini hanno affermato che il comportamento manifestamente antieconomico del contribuente, il quale, benché libero di organizzare e svolgere la propria attività come meglio credeva, non è comunque riuscito a fornire spiegazioni convincenti sul perché abbia effettuato una scelta “anomala”, consistita nell’affidare i servizi del proprio studio a una società, che li ha svolti utilizzando del personale che prima era alle dirette dipendenze dello studio, con conseguente “irrazionale aumento” dei costi.
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