FAQS – domande e risposte

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Il Dpcm 11 marzo 2020 ha individuato sia le attività che devono essere sospese sia quelle che possono continuare a svolgersi nel rispetto delle norme igienico-sanitarie imposte dalle autorità.

Il datore di lavoro che impiega lavoratori a diretto contatto con il pubblico – in quanto l’attività risulta tra quelle indicate agli allegati I e II del Dpcm 11 marzo 2020 o tra quelle riguardanti servizi come quelli bancari – deve adottare, in collaborazione con il medico competente e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, le misure previste dal decreto del ministero della Salute 3 febbraio 2020, nonché le eventuali misure previste dalle autorità sanitarie competenti per territorio.

Le misure preventive da adottare per i lavoratori a diretto contatto con il pubblico sono:

a) distanza dell’operatore di almeno un metro dal soggetto utente;

b) pulizia ripetuta e accurata delle superfici con acqua e detergenti seguita dall’applicazione di disinfettanti a base di ipoclorito di sodio 0,1% o etanolo al 70%;

c) disponibilità di distributori per l’igiene delle mani contenenti gel alcolici con una concentrazione di alcol al 60-85%;

d) adeguata diffusione di materiali informativi per l’igiene delle mani, l’igiene respiratoria e il distanziamento sociale.

I lavoratori che, nello svolgimento della loro attività, sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, devono utilizzare i dispositivi di protezione individuale (Dpi). Secondo quanto previsto dall’articolo 16 del Dl 18/2020 (“Cura Italia”) sono considerate Dpi, ex articolo 74, comma 1, del Dlgs 81/2008, anche le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui utilizzo è disciplinato dall’articolo 34, comma 3, del Dl 9/2020.

I Dpi delle vie respiratorie (Uni En 149 tipo Ffp3 o En 136), insieme con altre tipologie di Dpi (occhiali o schermo facciale, guanti, tute eccetera), sono indicati per gli operatori sanitari che assistono a stretto contatto persone con sintomi respiratori di casi sospetti o accertati.

Qualora il datore di lavoro non predisponga le misure precauzionali citate, oppure non abbia serie motivazioni per non avere adottato le misure organizzative necessarie a impedire la possibilità del contagio tra lavoratori o tra lavoratori e clienti (concessione ferie, diversa turnazione, lavoro agile eccetera), il lavoratore può rifiutarsi di prestare l’attività a norma dell’articolo 1453 del Codice civile, che giustifica l’inadempimento di una delle parti del contratto quando la controparte (nel caso in esame, il datore di lavoro) non adempie ai propri obblighi di legge. Il giudice procede alla valutazione comparativa dei comportamenti e della gravità dell’inadempimento. Nel contratto di lavoro la giurisprudenza esclude la legittimità di sanzioni disciplinari al dipendente che si rifiuta di lavorare, e perfino la legittimità dello stesso licenziamento, se il mancato (o non completo) adempimento del lavoratore trova giustificazione nell’omessa adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che lui è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore (si vedano le sentenze di Cassazione 21479/2005 e 18921/2012).