La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 1565 depositata il 27 gennaio 2014 intervenendo in tema di deducibilità dei costi per fatture false ha riaffermato che in presenza di fatture soggettivamente false, ossia emesse da soggetti diversi da coloro che hanno effettuato la prestazione fatturata, anche nel caso di piena partecipazione da parte del contribuente ricevente e utilizzatore il falso documento al disegno evasivo posto in essere, il costo ai fini delle imposte dirette: lo stesso è sempre deducibile, salvo la verifica delle ulteriori ordinarie regole che disciplinano la deducibilità di un costo, in primis l’inerenza.
La controversia ha avuto origine dalla notifica, al titolare di una ditta individuale, di un avviso di accertamento, basato sul PVC da cui emergevano fatture considerate inerenti ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, con cui si procedeva al recupero a tassazione ingenti somme corrispondenti a costi ritenuti indeducibili ai fini IRPEF, IRAP ed IVA.
Il contribuente avverso l’atto impositivo ricevuto proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente alla detrazione dell’IVA contestata dall’Ufficio. Il ricorso avverso la decisione del giudice di prime cure veniva proposto da entrambe le parti. I giudici disterttuali respingevano il ricorso principale del contribuente ed accoglievano l’appello incidentale proposto dal Fisco. In particolare per i giudici territoriali che l’accertata partecipazione del contribunete all’evasione ai fini IVA, mediante l’utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti, comportasse, di conseguenza, l’indeducibilità dei relativi costi ai fini delle imposte dirette, per difetto del requisito dell’inerenza all’attività di impresa.
Per la cassazione della pronuncia del giudice di seconde cure il contribuente proponeva ricorso, basato su otto motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accoglie il terzo motivo di censura rigettando gli altri sette e cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accoltocon rinvio alla CTR. I giudici di legittimità hanno statuito che in materia di imposte dirette, l’art. 14, co. 4 bis della l. 24.12.1993 n. 537 – come novellato dall’art. 8, co. 1 del d.l. 2.3.2012 n. 16, convertito dalla l. 26.4.2012 n. 44 – prevede che “nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.
In altri termini, dopo la modifica normativa apportata dal D.L. n. 16 del 2012, il sostenimento di un costo effettivo (si pensi ad una prestazione di facchinaggio), completamente inerente all’attività svolta (magari attività di trasporto), è sempre deducibile ai fini delle imposte dirette anche se il ricevente acconsente che ad emettere la fattura sia una mera cartiera in luogo del contribuente che ha realmente effettuato la prestazione.
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