La corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7900 del 28 marzo 2013 su ricorso dell’Agenzia delle Entrate su una tematica già ampiamente dibattuta dalla Suprema Corte inerente l’onere della prova nelle frodi fiscali.
L’Agenzia delle Entrate fonda il proprio ricorso su un unico motivo “con il quale si censura la violazione degli articoli 17, 19 e 21 d.p.r. 633/72 e dell’articolo 2697 c.c. in cui il giudice territoriale sarebbe incorso trascurando il principio, che da dette norme deriverebbe, che qualora sia accertata l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti non grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la partecipazione del contribuente alla frode poste in essere dalla fornitrice cd. “cartiera”, ma grava sul contribuente l’onere di provare di avere incolpevolmente ignorato detta frode.”
Ma, come più volte dibattuto, è l’Ufficio impositore che deve sempre provare (anche con presunzioni semplici) che il contraente cessionario sia legato indiscutibilmente per frodi IVA c.d. “carosello”. Non basta indicare fatti sintomatici che derivano da comportamenti altrui (il cedente) , ma vi deve essere una chiara attività di ‘accusa’ nei suoi confronti. Se questo avviene ricadrà successivamente al cessionario l’onere della prova, ma in questo caso, non essendoci alcuna traccia di presunzione, i giudici supremi decidono con ordinanza il rigetto del ricorso. Dunque possiamo concludere che l’orientamento della Cassazione è granitico: deve essere l’Ufficio ha dover portare le prove di un’ipotetica ‘frode carosello’.
Pertanato gli Ermellini nel rigettare il ricorso dell’Agenzia hanno affermato che “sul riparto dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente in ordine al coinvolgimento dell’acquirente nelle frodi “carosello” poste in essere dal fornitore, enunciando, nella sentenza 10414/11, i seguenti principi: “nel caso, come il presente, di apparente regolarità contabile della fattura, dotata dei requisiti di legge, l’onere della prova grava sull ‘Ufficio, nel senso che questi deve provare 1) gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di “cartiera”, la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e simili; 2) la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente però con prova “certa” ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotati del requisito di gravità precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi – che possono coincidere con quelli sub) 1 – tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sulla inesistenza sostanziale del contraente, il quale non può non rilevarla e peraltro deve coglierla, per il dovere di accortezza e diligenza insito nell’esercizio di una attività imprenditoriale e commerciale qualificata.
Qualora, con giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, la Amministrazione abbia fornito una prova nei termini di cui sopra, l’onere a carico della medesima si intende assolto e grava sul contribuente l’onere della prova contraria.”
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