Frodi carosello e prova con presunzioni semplici
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12961 del 24 maggio 2013 sez. Tributaria interviene nell’ambito di una “frode carosello”, il contribuente che ha ricevuto fatture soggettivamente false non ha diritto alla detrazione dell’IVA se l’Agenzia delle Entrate riesce a provare, anche attraverso presunzioni semplici, la malafede rispetto all’evasione dell’imposta.
Gli Ermellini cassano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in accoglimento del ricorso del Fisco, e confermano il principio secondo cui la prova che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che essa sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe, può essere fornita dall’Ufficio Finanziario anche mediante presunzioni come statuito dall’articolo 54, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972 (per le Imposte dirette la ratio e contenuta dall’articolo 39, primo comma, lett. d) del D.P.R. n. 917 del 1986). Presunzioni che costituiscono a pieno titolo elementi probatori capaci di confermare l’esistenza della consapevolezza del carattere evasivo dell’operazione ai fini IVA.
Il compito sia dell’Amministrazione Finanziaria che dei giudici è quello di negare il beneficio del diritto alla detrazione ove sia dimostrato che lo stesso diritto è stato invocato abusivamente o fraudolentemente. Secondo l’insegnamento della Corte di giustizia dell’Unione europea, tale situazione si verifica nel caso di evasione commessa dallo stesso soggetto passivo, ma anche il soggetto passivo quest’ultimo “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione fiscale”.
Gli indici della frode sono ad esempio, la totale assenza di struttura societaria, l’assenza di dipendenti e di beni strumentali, la mancanza di una contabilità regolare e l’assenza di qualunque documentazione attestante l’inserimento delle società cedenti nell’ambito del settore delle esportazioni, coniugate alla falsità della dichiarazione circa la qualifica di esportatore abituale si pongono come dati rilevanti e imprescindibili ai fini della valutazione domandata al giudice, tenuto conto che, secondo giurisprudenza costante, costituiscono “fondati sospetti” che la società verificata abbia partecipato a operazioni imponibili soggettivamente inesistenti, volte a evadere l’IVA, l’avere intrattenuto rapporti commerciali con società sfornite di personale adeguato, di beni aziendali o comunque prive di adeguata struttura organizzativa di impresa – c.d. società fantasma – in relazione alle operazioni commerciali in concreto svolte (gfr. Cass. n. 12625/2012).
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