La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5162 depositata il 26 febbraio 2020 intervenendo in tema di deducibilità delle spese di sponsorizzazione ha affermato che è legittimo l’accertamento fiscale che recupera a tassazione i costi sostenuti per le sponsorizzazioni qualora la tipologia di servizi offerti dalla società di pubblicità non differisce da quella goduta da altre società, che hanno versato un corrispettivo ben più contenuto, facendo emergere in tal modo una condotta antieconomica.
La vicenda ha riguardato una società a cui veniva notificato un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione i costi per la sponsorizzazione di autovetture partecipanti a gare automobilistiche di rally di livello anche internazionale, in quanto era ritenuto operazione antieconomica. Avverso tale atto impositivo la società proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accoglievano parzialmente le doglianze della ricorrente. La decisione della CTP veniva impugnata sia dalla contribuente che dall’Amministrazione Finanziaria avanti alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello rigettavano in toto il ricorso della contribuente ed accoglievano parzialmente quello dell’Agenzia delle Entrate. Avverso la sentenza della CTR la società contribuente proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
Gli Ermellini nel rigettare il ricorso della società premettono che il riconoscimento tout court dell’antieconomicità della spesa avrebbe dovuto incidere sulla evidenza stessa della inerenza, ai sensi dell’art. 109 co. 5 TUIR e conseguentemente, per forza logica, condurre il giudice regionale ad una valutazione di integrale legittimità e correttezza dell’atto impositivo.
Inoltre evidenziano, come correttamente precisato dai giudici regionali, che nella comparazione tra i costi sostenuti per la sponsorizzazione dalla ricorrente, a fronte di quelli sostenuti per prestazioni analoghe da altre società, debitamente identificate nel corso del giudizio, inequivocabilmente denunciano una sproporzione del tutto irragionevole, che non può certo trovare giustificazione nel volume d’affari della società, come correttamente e logicamente affermato dai giudici regionali. Aggiungendo, infine, che il processo tributario non è diretto alla eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio.