La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 27161 depositata il 21 ottobre 2024, intervenendo in tema di licenziamento disciplinare, ha statuito il seguente principio di diritto ” il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, anche in quella previsione contrattual- collettiva o del codice disciplinare che, con clausola generale ed elastica (articolata in termini di minore o maggiore gravità), punisca l’illecito con sanzione conservativa, senza che detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmodi nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato (art. 2106 c.c.). Si tratta, infatti, pur sempre di dare attuazione al principio di proporzionalità come tipizzato dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo oppure dal datore di lavoro mediante il codice disciplinare – cui rinvia l’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 – sebbene tale tipizzazione sia avvenuta mediante lo strumento giuridico delle clausole generali ed elastiche (Cass. n. 107/2024; Cass. n. 20780/2022; Cass. n. 13063/2022).

Questo orientamento si è ormai consolidato e rappresenta il “diritto vivente”, riferito ai licenziamenti regolati dall’art. 18 L. n. 300/1970, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (C. Cost. n. 129/2024). “

La vicenda ha riguardato un dipendente di un istituto bancario, il quale veniva licenziato per giusta causa all’esito della contestazione disciplinare. Il lavoratore impugna il provvedimento di espulsione per insussistenza dei fatti contestati (per non avere egli potere decisionale rispetto alle concessioni di finanziamenti e alle aperture dei conti correnti), sia per essere la condotta contestatagli punita dal contratto collettivo con sanzioni di tipo conservativo. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, all’esito della fase c.d. sommaria del rito previsto dalla legge n. 92/2012, accoglieva l’impugnazione, ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannava altresì la banca al pagamento dell’indennità risarcitoria fino ad un massimo di dodici mensilità. Con sentenza poi rigettava l’opposizione della banca. La Corte d’Appello accoglieva parzialmente il reclamo interposto dalla banca, dichiarava la risoluzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento. Il dipendente avverso la decisione di appello proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il primo motivo del ricorso incidentale, accolsero il primo motivo del ricorso principale, dichiararono assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale.

Gli Ermellini precisano che il giudizio di gravità attiene al fatto e si riflette sulla valutazione di proporzionalità della sanzione per cui con il con il consolidarsi di un orientamento favorevole alla considerazione delle clausole generali come uno degli strumenti giuridici di cui la contrattazione collettiva o il codice disciplinare possono avvalersi per tipizzare fattispecie da punire con sanzione conservativa, dando in tal modo maggiore ampiezza di significato al rinvio operato dall’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 alle previsioni della contrattazione collettiva e dei codici disciplinari.

Per il Supremo consesso ribadisce quanto affermato nella propria decisione n. 11665/2022 precisando che le fasi dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e dell’individuazione della tutela applicabile sono distinte. Pertanto, una volta esclusa la ricorrenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo ed accertata, in tal modo, l’illegittimità del licenziamento, occorre selezionare e individuare la tutela applicabile tra quelle previste dal novellato art. 18, co. 4 e 5, L. n. 300 cit.

A questo riguardo va preliminarmente ribadito sul piano del metodo che la previsione, da parte del contratto collettivo o del codice disciplinare, della sanzione espulsiva non è vincolante per il giudice, poiché il giudizio di gravità e di proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice ex art. 2119 c.c., ossia alla luce della nozione legale di giusta causa (o di giustificato motivo soggettivo), avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, sebbene la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisca uno (ma soltanto uno) dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di fonte legale, ossia utilizzata dall’art. 2119 c.c. (Cass. n. 16784/2020; Cass. n 33811/2021).

Viceversa, nell’ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato e tipizzato dal contratto collettivo o dal codice disciplinare come infrazione meritevole solo di una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione, che quindi è vincolante, poiché condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall’art. 12 della legge n. 604/1966, a meno che accerti che le parti abbiano previsto, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 14811/2020) e ritenga che il fatto concretamente accertato presenti questa connotazione di maggiore gravità.