La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 40415 depositata il 4 ottobre 2023, intervenendo in tema di dissequestro dei conti correnti, ha riaffermato il principio di diritto secondo cui “… il giudice della cautela può autorizzare «il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, per consentire all’ente di pagare le imposte dovute sulle medesime quale profitto di attività illecite, quando l’entità del vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato, rischi di determinare, anche in ragione dell’incidenza dell’obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell’esercizio dell’attività dell’ente (…) alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che, nella sua concreta dimensione afflittiva, metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme “controllate”», nell’annullare il provvedimento emesso dal giudice dell’appello cautelare aveva posto a carico del giudice di rinvio l’onere di accertare, sulla base delle allegazioni delle parti, in primo luogo se la società ricorrente potesse provvedere al pagamento delle imposte dovute (per effetto dell’applicazione dell’art. 14, comma 4, l. 537/1993) sulla base delle risorse disponibili, ovvero ricorrendo al credito bancario; in secondo luogo, se l’inadempimento degli obblighi tributari avesse posto a rischio la stessa continuità nella operatività dell’ente. …”
La vicenda ha visto protagonista, in un procedimento ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, una società a responsabilità limitata, che secondo l’accusa, era stato commesso, a vantaggio della quale, il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis c.p., era stato disposto un ingente sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei saldi attivi esistenti sui rapporti finanziari e/o bancari della società, beni che avrebbero rappresentato il profitto del reato poiché corrispondenti alla quasi totalità delle provvigioni illecitamente maturate e ricevute dal legale rappresentante della srl. Sul procedimento si era precedentemente espressa la Corte Suprema che aveva cassato la sentenza sottoposta al suo vaglio e rinviata. Il Tribunale del rinvio rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse della società avverso il provvedimento con cui il Gip aveva a propria volta rigettato l’istanza di dissequestro parziale. La la società, infatti, aveva precisato che il provento del reato presupposto, sottoposto a sequestro, doveva esser assoggettato a imposizione fiscale (ai sensi dell’art. 14, comma 4, L. n. 537 del 1993) e che la società intendeva provvedere al pagamento delle imposte dovute (a titolo di Ires e Irap). Per cui la società proponeva un nuovo ricorso in cassazione.
Gli Ermellini annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale.
I giudici di legittimità suk primo motivo di doglianza della società hanno riaffermato il principio secondo cui “… in ipotesi di annullamento con rinvio dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame, non sussiste alcuna incompatibilità dei magistrati che abbiano adottato la precedente decisione a comporre il collegio chiamato a deliberare in sede di rinvio, in quanto l’art. 623, lett. a), cod. proc. pen., non richiede che i componenti siano diversi e comunque il procedimento incidentale de libertate non comporta, per sua natura, un accertamento sul merito della contestazione (Sez. 4, n. 16717 del 14/04/2021, Langella, Rv. 281039 – 01; Sez. 5, n. 16875 del 24/03/2011, Rao, Rv. 250173 – O), regola che trova analoga applicazione nella materia delle misure cautelari reali, atteso il carattere meramente incidentale della valutazione richiesta che non corrisponde in alcun modo alla valutazione di merito sulla responsabilità (Sez. 6, n. 33883 del 26/03/2014, Gabriele, Rv. 261076 – O). …”
Per il Supremo consesso nell’annullare la decisione impugnata ha evidenziato che “… Il provvedimento impugnato, infatti, nell’esaminare i dati raccolti nel corso delle indagini e quelli allegati dalla parte istante, per verificare la sussistenza dei presupposti necessari per disporre la richiesta restituzione parziale delle somme sottoposte a vincolo, non ha adempiuto all’obbligo motivazionale specificato dalla sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, fornendo argomenti apparenti collegati a ipotesi non sorrette ad alcun dato di verifica documentale, oltre che prive di alcun sostrato ricollegabile a validate regole di esperienza. …”