La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 25661 depositata il 25 settembre 2024, intervenendo in tema di comunicazione dello stato di malattia, ha riaffermato il principio secondo cui “la comunicazione di malattia al datore di lavoro prescritta dall’art. 2 del d.l. n. 563/1979 (conv. in legge n. 33/1980), rileva sulla possibilità di prosecuzione del rapporto nella misura in cui la sua omissione impedisca al datore di lavoro di controllare lo stato di malattia e la giustificatezza dell’assenza, ed allo stesso lavoratore di provarla a distanza di tempo, ove si tratti di malattie a carattere transeunte, che non lasciano traccia apprezzabile. Per converso, il lavoratore può provare la giustificatezza dell’assenza, ai sensi dell’art. 2119 c.c., anche successivamente alla malattia, ove sia stato nell’impossibilità incolpevole di effettuare la prescritta comunicazione, ad esempio per gravissima malattia che abbia impedito al medesimo, o ai familiari, per la gravità della situazione clinica e psicologica del momento, di effettuare le prescritte comunicazioni al datore di lavoro. Tali regole trovano applicazione, secondo le circostanze del caso, in base al principio di correttezza e buona fede, anche nella ipotesi di malattia contratta all’estero (Cass. n. 13622/2005″
La vicenda ha riguardato un dipendente che assentatori per quattro giorni, veniva licenziato, dalla società datrice di lavoro, per giusta causa. Il lavoratore si era difeso sostenendo di essersi recato in Romania per ferie, di essere caduto in malattia e di aver quindi inviato il certificato medico mediante fax al numero di fax aziendale. Il provvedimento di espulsione veniva impugnato. Il Tribunale adito, nella veste di giudice del lavoro, accoglieva l’impugnazione, annullava il licenziamento e ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro. La datrice di lavoro impugnava la decisione del Tribunale. La Corte di appello accoglieva solo in parte gravame interposto dalla società, confermando la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la tutela reintegratoria e rideterminando soltanto l’indennità risarcitoria, liquidata in misura pari a dodici mensilità. La società datrice di lavoro, avverso la decisione di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.
I giudici di legittimità rigettava il ricorso principale della società; accoglieva il ricorso incidentale del dipendente.
Gli Ermellini ribadiscono che “il contesto delle circostanze va interpretato alla luce dei principi di correttezza e di buona fede.“
Per i giudici di piazza Cavour la norma di legge, nel prevedere la necessità dell’invio telematico della certificazione attestante la malattia, non esclude modalità equivalenti secondo forme d’uso.