La Corte di Cassazione, sezione I, con l’ordinanza n. 13561 depositata il 16 maggio 2024, intervenendo in tema di patti parasociali, ha ribadito il principio secondo cui “… (Sez. 1, sent. n. 22375 del 25 luglio 2023) ha di recente affermato che con l’espressione patto parasociale si intende quell’accordo contrattuale che intercorre fra più soggetti (di norma due o più soci, ma anche tra soci e terzi), finalizzato a regolamentare il comportamento futuro che dovrà essere osservato durante la vita della società o, comunque, in occasione dell’esercizio di taluni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute. Il patto parasociale trova, quindi, il proprio elemento qualificante nella distinzione rispetto al contratto di società e allo statuto della medesima, in quanto realizza una convenzione con cui i soci attuano un regolamento complementare a quello sancito nell’atto costitutivo e poi nello statuto della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi. La validità di queste pattuizioni può dirsi in linea di principio assodata ed emerge, in modo ormai diretto, dalla previsione normativa dell’art. 2341-bis cod. civ., introdotto dalla Riforma del diritto societario del 2003, che prevede che non possano avere una durata superiore a 5 anni – salvo rinnovo – quei patti che “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:

a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano;

b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;

c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società”. …”

La vicenda ha riguardato una società in accomandita semplice che aveva adito al Tribunale, affinché venisse riconosciuto l’obbligo del socio uscente dell’accollo di una parte del debito di un mutuo contratto dalla società. Il Tribunale adito dalla società accoglie le doglianze della ricorrente ed autorizza un decreto ingiuntivo. Il convenuto propone opposizione al decreto ingiuntivo. La Corte di appello, accoglieva le doglianze dell’ex socio ed in riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo, ed osservava che la scrittura privata, dedotta dalla società ingiungente come “prova scritta” del suo credito nei confronti dell’ex socio – credito consistente nell’impegno di quest’ultimo a pagare pro quota le rate di un mutuo contratto dalla società, quantunque contestualmente le sue quote venissero cedute al fratello con il consenso dell’accomandatario – non poteva essere utilizzata dalla società a proprio favore, atteso che la stessa doveva qualificarsi come un patto parasociale tra i soli soci, in cui mai era menzionata la società; né i suoi sottoscrittori, quantunque tutti amministratori, avevano speso in essa tale qualità; ne derivava la carenza di legittimazione attiva della società a far valere le obbligazioni derivanti dalla detta scrittura. La società avverso la decisione della Corte territoriale propone ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.

I giudici di legittimità accolsero il ricorso principale ed il ricorso incidentale, nei sensi di cui in motivazione.

Gli Ermellini evidenziano che in base al principio di diritto secondo cui “… le clausole limitative della facoltà del socio di cedere liberamente la propria posizione all’interno della società (quali ad esempio clausole di prelazione o di gradimento o clausole unanimistiche per la validità del mutamento del contratto sociale) hanno una diretta e immediata applicazione nella regolazione dei rapporti inter- privati tra cedente e cessionario della quota e, solo come effetto di ripercussione, sono opponibili alla società per effetto della loro stipulazione. Ciò, tuttavia, non può voler dire, come argomenta la Corte territoriale nel caso di specie, che sia assolutamente estraneo al negozio traslativo di una quota l’inserimento di una pattuizione che ne condizioni l’efficacia all’adempimento di un’obbligazione che il socio assume contestualmente alla cessione nell’interesse della società. E ciò per l’evidente ragione che la causa del contratto di cessione delle quote sociali è certamente riferibile anche agli effetti modificativi della composizione dei soci e non si esaurisce certamente nella regolazione dei soli interessi patrimoniali tra i soli soggetti stipulanti il negozio di cessione. Tanto rende del tutto legittimo prevedere clausole condizionali che possano collegare l’efficacia o la validità del negozio di cessione a un comportamento da parte dell’obbligato, i cui effetti giuridici si risolvano in favore della società, le cui quote di partecipazione sono oggetto di pattuizione. Se, dunque, è corretto che la società non deve necessariamente intervenire nei negozi traslativi delle proprie partecipazioni posti in essere dai suoi soci con i terzi che intendano in tale posizione, ciò non significa – come argomenta la sentenza impugnata – che sia in ogni caso e sempre da escludere che tra le condizioni del negozio traslativo della quota i soci possano inserire delle pattuizioni nell’interesse della società (altrimenti non si spiegherebbero le clausole di prelazione o di gradimento che, certamente, hanno effetti analoghi a quelli appena descritti anche nei riguardi della società, tanto da condizionare al loro contento la validità stessa dei negozi traslativi della partecipazione). …”

Il Supremo consesso esclude che “… ove la scrittura privata è stipulata tra soci di una società di persone, possano essere ravvisabili le ipotesi tipizzate dalle lettere a), b) e c) dell’art. 2341-bis cod. civ., la sentenza impugnata non spiega in alcun modo da quale altro elemento abbia potuto ricavare la qualificabilità del contenuto dell’accordo esaminato nell’ambito della disciplina dei patti parasociali.

È ben noto che possono esistere patti parasociali che non si conformano al modello tipizzato dell’art. 2341-bis cod. civ. Tuttavia, per essere ritenuti patti parasociali, e dunque meritevoli di tutela giuridica analoga a quella riconosciuta espressamente ai patti indicati dall’art. 2341-bis cod. civ., occorre che il loro contenuto sia comunque finalizzato a regolare il comportamento che i soci intendono tenere all’interno della società nell’esercizio della funzione organica che essi svolgono per effetto della qualità rivestita.

In altre parole, le obbligazioni contenute nel patto parasociale, cui certamente la società interessata è per definizione estranea, debbono tuttavia essere finalizzate a regolare il comportamento che i soci intendono vincolarsi a tenere nel momento in cui eserciteranno i poteri amministrativi loro spettanti all’interno dell’ente per effetto dell’esercizio della relativa qualità.

Tale condizione è assolutamente necessaria per poter qualificare la pattuizione come patto parasociale: necessaria, si può aggiungere per completezza, ma non sufficiente, poiché il contenuto dell’obbligo regolato dal patto, per esser parasociale, deve comunque essere riconducibile al perseguimento di quegli effetti di stabilizzazione della governance societaria cui si riferisce espressamente l’art. 2341-bis cod. civ., che ha tipizzato la “causa” dei patti stessi, enucleandone le finalità e, per conseguenza, anche definendo l’ambito della relativa meritevolezza dell’interesse perseguito ai sensi dell’art. 1322 cod. civ. …”

La Corte Suprema conclude affermando che “… con cui il socio uscente convenga con quello rimanente che la cessione della quota a un terzo è condizionata all’assunzione della garanzia da parte del cedente del pagamento pro quota di un mutuo precedentemente contratto nell’interesse della società, non ha nulla a che vedere con l’assetto dell’ente, né con l’esercizio dei diritti futuri spettanti ai soci all’interno della società. …”

In altri termini non è patto parasociale la scrittura privata fra i soci che ha per oggetto la condizione di efficacia dell’uscita dalla compagine di uno di loro.