La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 30607 depositata il 28 novembre 2024, intervenendo in tema di società c.d. di comodo, ha ribadito il principio secondo cui “ l’applicazione della disciplina delle società di comodo è subordinata all’esito negativo di un test basato su specifici coefficienti matematici, finalizzato ad accertare la condizione di non operatività. Detta ultima si ritiene sussistente quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, imputati al conto economico, è inferiore a quello dei ricavi figurativi. Si tratta, dunque, di una mera operazione matematica incentrata sull’applicazione di un coefficiente stabilito per legge sul valore di taluni cespiti. La determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente. Dal possesso di alcuni beni, che costituisce il fatto noto, si risale al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente (Cass. 23/11/2021, n. 36365Cass.05/07/2016, n. 13699).
Il mancato superamento della c.d. soglia di operatività fissata dall’art. 30 costituisce presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina ivi dettata. In particolare, al ricorrere della presunzione sancita dall’art. 30, comma 1, cit. il legislatore correla, con il comma 3, una seconda presunzione, anch’essa relativa, di reddito minimo fondata su coefficienti medi di redditività degli elementi patrimoniali di bilancio (Cass. 24/01/2022, n. 1898). “
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata che aveva presentato l’interpello ai sensi del comma 4-bis dell’art. 30 legge n. 724 del 1994. L’Agenzia delle entrate rigettava l’istanza ed emetteva tre avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione il reddito imponibile minimo di cui all’art. 30 cit. ai fini Ires ed Irap, oltre sanzioni ed interessi. La società contribuente impugnava i tre atti impositivi. I giudici di prime cure accoglievano il ricorso per due avvisi mentre lo rigettavano per il terzo. In sede di appello venivano confermate le sentenze di primo grado. L’Agenzia delle entrate impugnava la decisione di secondo grado con ricorso per cassazione.
I giudici di legittimità previa riunione, accoglievano i tre ricorsi, nei limiti di cui in motivazione, cassavano le sentenze impugnate e rinviavano alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado .
Per gli Ermellini “il contribuente ai sensi dell’art. 30, comma 4-bis, può provare, con onere a suo carico, l’impossibilità, per situazioni oggettive, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 cit. Se, invece, ricorre una delle situazioni di impossibilità oggettiva predeterminate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento di cui al successivo comma 4-ter il contribuente può invocare la disapplicazione automatica.
L’interpello disapplicativo di cui al comma 4-bis non esclude, che lo stesso, come accaduto nella fattispecie in esame, possa proporre comunque la questione sia per la prima volta direttamente in giudizio, senza la previa proposizione dell’interpello, sia dopo che questo sia stato respinto, impugnando direttamente l’atto impositivo. Si è chiarito, infatti, che l’interpello non è una condizione di procedibilità né comporta l’elisione della facoltà per il contribuente di superare la presunzione legale di non operatività sancita dall’art. 30, comma 1, cit. (Cass 23/05/2022, n. 16472).
Sempre in tema di prova contraria, si è chiarito che l’onere probatorio può essere assolto dal contribuente non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (cfr Cass. 23/05/2022, n. 16472 Cass. Cass.2/09/2021, n. 26219, Cass. 24/02/2021, n. 4946, cit., in motivazione). Tale conclusione, infatti, è coerente con la formula «salvo prova contraria», inserita già nell’art. 30, comma 1 (applicabile ratione temporis), a prescindere dal successivo comma 4-bis. ed appare logicamente indotta anche dalla considerazione che, se è rilevante la prova contraria rappresentata dalla necessaria dimostrazione della carenza indiziaria degli elementi sintomatici (l’esito quantitativo del test) sui quali la presunzione legale di un fatto (l’inoperatività della società) si fonda, non può non essere rilevante anche la prova contraria che dimostri proprio l’inesistenza dello stesso fatto presunto (ovvero che provi l’operatività della società e l’effettività dell’impresa) (Cass. n. 16472 del 2022 cit.). “
Per il Supremo consesso “la stessa disposizione di cui all’art. 30 cit. che impedisce la disapplicazione automatica per fattispecie diverse da quelle espressamente contemplate dal Direttore dell’Agenzia in quanto dette ultime si pongono in rapporto di specialità rispetto alla regola generale che non prevede alcun automatismo bensì il vaglio dell’Ufficio sulla sussistenza di cause oggettive.
La tesi della società contribuente, volta ad equiparare il pignoramento immobiliare, ancorché di tutto il patrimonio, al sequestro penale o alla confisca, espressamente contemplati nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia, va, pertanto, disattesa. Per altro, si tratta, all’evidenza, di situazioni ontologicamente differenti.
(…) La questione rilevante si concentra, pertanto, sulla sussistenza delle oggettive situazioni (evidentemente diverse da quelle tipizzate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate) contemplate dal comma 4-bis che si collocano nell’ambito della prima presunzione di cui all’art. 30 cit.; infatti, fornendo la relativa prova, la società si sottrae alla classificazione di società non operativa (e quindi all’eventuale applicazione della successiva e concatenata presunzione di reddito minimo), nonostante l’esito, inferiore alla soglia legale di operatività, del test condotto con il criterio quantitativo (Cass. 23/05/2022, n. 16472).
(…) Sul punto questa Corte ha chiarito che la prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire deve essere intesa, non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass. 14/06/2024, n. 16600, Cass. 16/05/2023, n. 13328, Cass. 20/06/2018 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 05/04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
La stessa può riguardare, oltre che il mancato raggiungimento della soglia di operatività, anche il reddito minimo presunto normativamente, ben potendo la società evidenziare le circostanze che hanno impedito il raggiungimento della soglia minima di componenti presuntivi e che, pertanto, giustificano la minore entità di componenti positivi dichiarati e risultanti dalla contabilità, nonché contestare le ulteriori presunzioni poste dalla normativa, indicando eventuali condizioni che hanno reso impossibile conseguire l’imponibile minimo (in tal senso, anche la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E del 2007).
Ne consegue che «ogni situazione in grado di giustificare la divergenza tra il quantum dichiarato dal contribuente ed il quantum determinato applicando i parametri di legge deve essere presa in considerazione al fine di verificare il superamento delle presunzioni di legge. La caratteristica di «oggettività» delle situazioni che il contribuente può far valere, nella ratio del comma 4-bis dell’art. 30, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra cause esterne, che si impongono al soggetto, e cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest’ultimo, ma quella di richiedere che quest’ultimo sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato» (Cass. 23/05/2022, n. 16472, Cass. 13/05/2021, n. 12862). “