La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 27443 del 23 ottobre 2024, intervenendo in tema di sanzione per lavoro irregolare, ha ribadito il principio secondo cui “in tema di sanzioni amministrative per l’impiego di lavoratori non regolarmente denunciati, la sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. in legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 36 bis del l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in legge 24 agosto 2006, n. 248), non ha natura tributaria o previdenziale in senso stretto poiché diretta ad inasprire la repressione del lavoro irregolare (Cass. n. 20357/2014);
(…) con specifico riferimento all’art. 3 d. lgs 472/1997 [..] in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non si applica il principio di retroattività della legge più favorevole, previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 soltanto per le infrazioni valutarie e tributarie, e ciò tenuto conto della peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie ( Cass. n. 356/2010);”
La vicenda ha riguardato la datrice di lavoro che in conseguenza dell’ispezione INPS, erano stati rinvenuti due soggetti che prestavano attività di lavoro senza che il relativo nominativo fosse annotato nei libri obbligatori, l’Agenzia delle Entrate irrogava una sanzione amministrativa. La datrice di lavoro impugnava il provvedimento sanzionatorio. Il Tribunale adito in parziale accoglimento dell’impugnazione, rideterminava la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa. La Corte di appello riformava la decisione impugnata confermando la originaria sanzione amministrativa. La datrice di lavoro avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.
Gli Ermellini premettono che “in tema di sanzioni amministrative vige il principio di legalità (art. 1 l. 689 1981 primo comma) ma non il principio penalistico di retroattività delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli (secondo comma); in particolare il comma 2 dell’art. 1 n. 689/1981 così recita << Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati>>“
Per il Supremo consesso “il principio di legalità ed il divieto di retroattività in malam partem trovano applicazione anche con riferimento al diritto sanzionatorio amministrativo al quale, quando la sanzione ha natura sostanzialmente penale, si estende la fondamentale garanzia consacrata dall’art. 25, secondo comma, Cost., e dalla giurisprudenza della Corte EDU relativa all’art. 7 Dall’art. 25, secondo comma, Cost. discende il divieto di applicazione retroattiva di una legge che incrimini un fatto in precedenza penalmente irrilevante o che punisca più severamente un fatto già precedentemente incriminato. Tale divieto, data l’ampiezza della sua formulazione, si presta ad essere esteso alle sanzioni amministrative a carattere punitivo ( Corte cost. n. 169/2023);
5.4 analogamente, il principio del favor rei, che implica l’applicazione della disciplina sanzionatoria successiva più favorevole e costituisce principio di matrice penalistica, non ha ad oggetto il complessivo sistema delle sanzioni amministrative, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche punitive alla luce dell’ordinamento convenzionale; per altro verso, non può ritenersi che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale (Cass. n. 17209/2020, Cass. n. 23814/2019); il principio del favor rei non si estende, quindi, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde invece al distinto principio del “tempus regit actum” ( Cass. n. 24375/2023); “