La Corte di Cassazione, sezione III, con l’ordinanza n. 1036 depositata il 16 gennaio 2025, intervenendo in tema di responsabilità civile generale, ha ribadito il principio secondo cui “la prevedibilità, alla quale fa riferimento l’art. 1225 c.c. per limitare il danno da responsabilità contrattuale, se non dipeso da dolo del debitore, costituisce un limite giuridico non all’esistenza ontologica del danno, ma alla misura del risarcimento pretendibile, essendo esso riferito al danno prevedibile non dall’ottica dello specifico debitore e delle sue particolati sensibilità, bensì avendo riguardo alla prevedibilità astratta inerente a una determinata categoria di rapporti contrattuali, sulla scorta delle regole ordinarie di comportamento dei soggetti economici, secondo un criterio di normalità e di comune esperienza in rapporto all’inadempimento da cui origina e alle circostanze di fatto conosciute. Inoltre, essendo quello della prevedibilità “in astratto” del danno risarcibile – da valutarsi al tempo in cui è sorta l’obbligazione – un accertamento in fatto spettante al giudice di merito, quest’ultimo é insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. civ., Sez. II, 29566; Cass. Civ., Sez. Lav., 31/7/2014 n. 17460; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15639 del 18/09/2012; Cass. Civ., Sez. III, 15/5/2007 n. 11189; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16091 del 27/10/2003; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3102 del 17/03/2000).”
La vicenda ha riguardato la cliente di un professionista che citava in giudizio quest’ultimo per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’inadempimento del professionista che le avrebbe cagionato danni di natura psicologica correlati alla vicenda tributaria che l’attrice ha dovuto subire in relazione a omissioni contributive fiscalmente accertate. La ricorrente deduceva che era stata costretta a versare all’Erario, per l’anno di imposta 2009, la somma complessiva di € 9.057,73 a titolo di sanzioni, corrispondente ad un terzo del reddito medio percepito, perché altrimenti sarebbe stata sottoposta ad un giudizio penale. Inoltre la stessa non riteneva opportuno ricorrere alla Commissione Tributaria in quanto, configurandosi il reato di dichiarazione infedele, avrebbe dovuto corrispondere somme ben più elevate. La ricorrente depositava una relazione psichiatrica redatta dal dirigente medico di un centro cui si era rivolta all’epoca della vicenda descriveva un grave disturbo dell’adattamento (grave reazione ansioso depressiva cronica) dovuto a “stress professionale e tributario” con rilevante e persistente perdita di funzionamento relazionale e lavorativo, per il quale si prescriveva terapia psicofarmacologica. Inoltre, deduceva che a causa della patologia psichiatrica, iniziata nel 2014, l’appellante aveva subito una notevole riduzione del reddito degli ultimi anni. Il Tribunale di Parma, dopo avere respinto l’istanza di esperire una CTU medico legale, sulla base dell’acquisita CTU contabile accoglieva in parte la domanda di risarcimento patrimoniale nella minore misura di € 743,64, liquidato sulla base della maggiore imposta dovuta in ragione di redditi non dichiarati e di spese erroneamente fiscalmente dedotte dall’imponibile, che la parte attrice avrebbe dovuto comunque pagare. La Corte dichiarava l’inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., condividendo la scelta del giudice di prime cure di non ammettere una consulenza tecnica medico legale. Nel merito condivideva la decisione del Tribunale riguardo alla esclusione, secondo un criterio di normalità, della negligenza professionale ascritta al convenuto, e ciò in virtù dell’articolo 1225 c.c. che richiede la prevedibilità del danno da risarcire in riferimento alla prestazione oggetto dell’obbligazione. La ricorrente proponeva ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di legittimità rigettavano il ricorso e condanna la ricorrente alle spese.
Per gli Ermellini “Il danno conseguente all’inadempimento contrattuale, in sintesi, deve essere idealmente ricollegabile, alla stregua di criteri obiettivi di prevedibilità, all’inadempimento da cui deriva, secondo un apprezzamento di fatto demandato al giudice del merito. La considerazione del giudice di merito circa la non prevedibilità dell’ulteriore maggior danno dedotto, perché non rientrante nella normale alea del contratto di consulenza contabile e tributaria stipulato tra le parti, per quanto sopra detto, non è certamente connesso alla mancata considerazione, o sottovalutazione, del grave impatto psicologico determinatosi sulla persona della ricorrente, ma al fatto che il suddetto danno non si giustifica in relazione al rapporto contrattuale intrattenuto e all’entità dell’effettivo inadempimento accertato“