La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 28188 depositata il 17 dicembre 2013 intervenendo in tema di perquisizione ha statuito che l’ispezione della Guardia di finanza è illegittima e non può essere usata ai fini dell’accertamento fiscale se il decreto di autorizzazione della procura non motiva adeguatamente sui gravi indizi di evasione. Per cui nel caso in cui nel giudizio non viene prodotta la richiesta per ottenere dalla Procura della Repubblica l’autorizzazione all’accesso domiciliare, l’accertamento è nullo perché il giudice tributario è nell’impossibilità di verificare la sussistenza dei gravi indizi di violazioni alla normativa tributaria, necessari per il rilascio di tale provvedimento.
La vicenda ha avuto come protagonista una società che gestiva un albergo a cui l’Agenzia delle Entrate notificava alcuni avvisi di accertamento fondati su violazioni scoperte a seguito di accesso effettuato dalla Gdf nell’abitazione del contribuente. Lo stabile era adibito a uso aziendale e ad abitazione.
Il contribuente avverso tali atti impositivi proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano la tesi del ricorrente ed annullavano gli avvisi di accertamento. L’Amministrazione Finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado. Per i giudici della CTR, in particolare, era stata emessa un’autorizzazione all’accesso nel domicilio privato del contribuente in assenza di gravi indizi.
Per la cassazione della sentenza del giudice di merito veniva proposto, dall’Ufficio, ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema. Il Fisco evidenziava che i locali nei quali si era svolto l’accesso erano promiscui e pertanto non era necessaria la presenza di “gravi indizi”, in ogni caso, il provvedimento era motivato.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dell’Agenzia ritenendo infondati i motivi. I giudici di legittimità rammentano il contenuto dell’articolo 52 del Dpr 633/72 dispone che per l’accesso in locali adibiti promiscuamente sia ad attività sia ad abitazione non è necessaria una motivazione specifica, qualificandosi come un atto dovuto, una sorta di adempimento procedurale che si limita a riscontrare la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma ai fini dell’accesso domiciliare (Cassazione, Sezioni unite 16424/2002, Cassazione 3287/1995). Nel caso di locali privati, la norma subordina l’accesso all’autorizzazione del Procuratore che, però, può essere rilasciata soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie.
La Corte di Cassazione chiarisce che il giudice di merito ha il dovere di verificare la presenza della motivazione circa la sussistenza di gravi indizi dell’illecito fiscale, oltre che di controllare la correttezza di tale apprezzamento. Ne consegue che se nel corso del processo, l’Amministrazione non produce la richiesta di accesso degli organi accertatori, cui è correlata l’autorizzazione del Pm, si può legittimamente ritenere impedita la verifica della effettiva esistenza dei gravi indizi necessari per il rilascio dell’autorizzazione e quindi l’illegittimità del successivo atto impositivo.
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