La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 27723 depositata il 25 ottobre 2024, intervenendo in tema risarcimento del danno morale soggettivo, ha riaffermato il principio secondo cui “(cfr. Cass. n. 901 del 2018, Cass. n. 7513 del 2018; Cass. 23469 del 2018), in presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi (definibili come danni morali) che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione); parimenti il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di beni-interessi diversi dalla salute ma costituzionalmente tutelati può essere liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore);”

La vicenda ha riguardato una lavoratrice inizialmente vittima di molestie sessuali perpetrate da due superiori gerarchici e, subito dopo, di uno stupro commesso da uno dei due. La dipendente ricorreva giudizialmente per il risarcimento del danno. La Corte di Appello, con la sentenza resa in seguito a rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, condannava le due società in solido tra loro, riconosceva il diritto alla ricorrente al risarcimento del danno non patrimoniale subito.I giudici di rinvio dopo aver premesso che occorreva dare applicazione a quanto disposto dalla pronuncia cassatoria, per la quale andava liquidato anche il “danno morale soggettivo” subito dalla vittima; hanno dato atto che i criteri cui attenersi per la liquidazione erano stati indicati dalla stessa S.C. nella giovane età della danneggiata e nella situazione personale e familiare della stessa; ha argomentato che “gli elementi sintomatici dell’entità della sofferenza interiore patita (cd. danno morale soggettivo) vanno senz’altro individuati nella giovane età della donna (30 anni) e “vergine” al momento dei fatti e della cultura profondamente religiosa della stessa (cattolica praticante) e dei suoi familiari, circostanze che hanno sicuramente amplificato la sua sofferenza interiore conseguente alla grave violenza subita sul posto di lavoro. La vittima proponeva avverso la decsione dei giudici di rinvio ricorso per cassazione fondato su due motivi.

I giudici di legittimità rigettavano il ricorso.

Per i giudici di piazza Cavour una volta riconosciuta in diritto la risarcibilità del danno morale quale posta autonoma del danno non patrimoniale, distinta dal danno biologico e dalla sua personalizzazione, l’accertamento in concreto della sussistenza di un tale tipo di danno così come della determinazione del suo ammontare in via equitativa compete al giudice del merito e involge inevitabilmente una quaestio facti che, come ogni altra, può essere sindacata innanzi a questa Corte nei limiti ristretti in cui può esserlo ogni accertamento di merito;

ossia o nei rigorosi confini posti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. 

I giudici di legittimità hanno precisato che la non patrimonialità – per non avere il bene persona un prezzo – del diritto leso, comporta che, diversamente da quello patrimoniale, il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere alla relativa esatta commisurazione, imponendosene pertanto la valutazione equitativa (per tutte Cass., SS.UU. n. 26972 del 2008; in conf. v. Cass. n. 18778 del 2014);

pertanto, la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità solo se la motivazione difetti totalmente di giustificazione o si discosti sensibilmente dai dati di comune esperienza, o sia fondata su criteri incongrui rispetto al caso concreto o radicalmente contraddittori, ovvero se l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (v. Cass. n. 1529 del 2010; Cass. n. 13153 del 2017; Cass. n. 31358 del 2021); “