La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3414 del 8 febbraio 2017 intervenendo in tema ricorso tributario ha affermato che non è assolutamente possibile effettuare integrazioni o, addirittura, modificazioni della “causa petendi” come definito dal contenuto dell’avverso l’avviso di accertamento. Infatti il contenuto dell’atto impositivo produce l’effetto di cristallizzare la pretesa dell’ente impositore impedendo di “aggiustare il tiro” in un momento successivo all’emanazione dell’atto.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificato un avviso di accertamento ai fini Tarsu per il tramite del quale, il Comune, assoggettava dei locali del contribuente ad una categoria diversa da quella da lui indicata nella denuncia originaria, con conseguente ed ovvia nuova determinazione della TARSU dovuta da quest’ultimo. Avverso il predetto atto, il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria.
In pendenza di giudizio , il Comune, alla luce delle motivazioni inserite nel ricorso del contribuente rettificava la causa giustificatrice posta originariamente a presidio dell’atto impositivo, asserendo di poter, in ogni caso, sostenere la legittimità della propria azione, atteso che, anche in ragione di un diverso inquadramento categoriale dei locali, la richiesta di un maggior prelievo sarebbe risultata comunque fondata.
I giudici di merito di primo grado respinsero il ricorso proposto dal contribuente. La sentenza emessa dalla CTP veniva impugnata, dal ricorrente, in Commissione Tributaria Regionale, i cui giudici accolsero, in parziale riforma della decisione impugnata, le motivazioni del contribuente.
Avverso la decisione della CTR il Comune proponeva ricorso in cassazione affidandosi a due motivi.
Gli Ermellini rigettano il ricorso proposto dal Comune i quali hanno anche inflitto al malcapitato Comune una severa condanna alle spese. Infatti per i giudici di legittimità “la motivazione delimita, oltre che il petitum, la ragione fondante, di fatto e di diritto, della pretesa impositiva, donde l’impossibilità di una sua sostituzione o integrazione in corso di giudizio.”.
Risulta evidente il principio di diritto affermato dai giudici del palazzaccio secondo cui in aderenza a quanto sostenuto tempo addietro dai loro stessi colleghi, hanno confermato che una volta delimitata la ragione in virtù della quale si palesa l’esigenza di accertare una determinata posizione soggettiva, non è più ammesso, seppur alla luce di fatti sopravvenuti nel corso del giudizio, modificare o integrare la stessa, anche e soprattutto considerati gli effetti che una simile permissione comporterebbe per il diritto di difesa del contribuente.
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