La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12317 depositata il 17 maggio 2017 intervenendo in tema di interposizione fittizia ed elusione fiscale ha affermato che la donazione di un immobile fatta ai figli o comunque a prossimi congiunti, pochi giorni prima della vendita ad un terzo, successivamente eseguita da questi ultimi, i beneficiari della donazione vanno ritenuti soggetti interposti con conseguente possibilità dell’Amministrazione finanziari di ritenere inopponibili, ai sensi del principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., i benefici fiscali che conseguono dalla combinazione di dette operazioni.
La vicenda ha riguardato una contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per la mancata indicazione, e relativa tassazione, nella dichiarazione della plusvalenza realizzata secondo l’Amministrazione, ai sensi degli art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, mediante cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile. Il predetto terreno era stato, dalla contribuente, donato in data 28/3/2000 al coniuge e ai figli, e quindi venduta da questi ultimi, in data 25/7/2000, ad una società. La contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici annullavano l’avviso di accertamento accogliendo le doglianze della ricorrente. L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di prime cure proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici distrettuali rigettavano l’appello dell’Ufficio ritenendo che pur essendo la ricorrente beneficiaria di un assegno bancario di lire 500 milioni nell’anno 1998, a titolo di acconto sulla vendita, e di un ulteriore assegno di lire 200 milioni in data 6/4/2000, entrambi corrisposti dall’acquirente dell’area, gli non provano il carattere simulato dell’atto di donazione in quanto incassati dal coniuge. Infine la CTR riteneva he tali elementi potevano al più dimostrare il carattere elusivo dell’operazione, ai sensi dell’art. 37-bis D.P.R. n. 600/73, norma però non richiamata a fondamento dell’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria avverso la decisione della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi. In particolare si doleva della violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ritenendo che, rilevata un’operazione come quella in esame, la CTR non poteva affermare l’inapplicabilità dell’art. 37-bis cit., per non essere stata detta norma posta alla base dell’accertamento e non invocata nel corso del giudizio, laddove invece la norma stessa doveva essere interpretata nel senso che sono rilevabili d’ufficio le eventuali cause di invalidità o d’inopponibilità all’Amministrazione del contratto
Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco. In particolare la Corte Suprema afferma che “È stato in particolare più volte ribadito che la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali.”
Per cui dal principio sopra statuito dai giudici di legittimità si può dedurre che la disciplina, prevista dall’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/73, dell’interposizione fittizia non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta.
Pertanto afferma la sentenza in commento che il carattere reale, e non simulato, dell’operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non erano sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita.(v. ex aliis Cass. n.14470 del 2016; n. 25671 del 2013; n. 449 del 2013 e precedenti ivi richiamati).
Conclusioni – All’amministrazione finanziaria viene conferita la possibilità, in base all’art. 37 comma 3 D.P.R. n. 600/1973, di imputare al contribuente i redditi di cui appaiano titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
Sia la normativa che la sentenza in commento non chiariscono se l’art. 37 comma 3 sia una norma di contrasto ad un fenomeno evasivo od elusivo. Si rammenta che l’elusione fiscale è cosa ben diversa dall’interposizione fittizia.
Infatti nell’elusione le parti dell’operazione sono effettivamente quelle che risultano dagli atti o negozi, mentre nell’interposizione (fittizia) invece le parti vere (interposte) sono diverse da quelle che appaiono all’esterno (interponenti).
Per cui nell’ipotesi in cui una persona fisica o giuridica interpone tra sé e il Fisco un altro soggetto, si crea dunque una situazione in cui l’apparenza mira a mascherare la realtà.
Diversamente, con l’elusione si pone in essere un negozio effettivamente voluto dalle parti, disciplinato nei suoi effetti “tipici” dall’Ordinamento, ma con una sostanziale distorsione di quegli stessi effetti, che diventano irrilevanti o comunque secondari rispetto al vero obiettivo (non contemplato dall’Ordinamento), consistente nel raggiungimento dell’obiettivo fiscale.
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