La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 1537 depositata il 27 gennaio 2014 intervenendo in tema di presupposti IRAP ha statuito che l’IRAP afferisce allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi e non al reddito o al patrimonio, per cui è soggetto passivo anche l’imprenditore familiare, mentre non lo sono i familiari collaboratori.
La vicenda ha riguradato un contribuente, che esercitava l’attività di agente e rappresentante di commercio, che aveva presentata l’istanza di rimborso delle somme pagate a titolo di IRAP. Il contribunete avverso il diniego dell’Agenzia delle Entrateproponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudci accoglievano le doglianze del ricorrente. L’Amminstrazione finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure dianzi alla Commissione Tributaria Regionale che rigettava l’appello del Fisco. I giudici territoriali hanno puntualizzato che la qualifica di imprenditore, nell’ambito dell’impresa familiare, la cui previsione legislativa è soprattutto rivolta a tutelare i componenti della famiglia che collaborano con il titolare dell’impresa stessa e a favorirne con la collaborazione reciproca l’attività, “non faccia venire meno la sostanziale autonomia organizzativa di lavoro autonomo, caratteristica ordinaria dell’agente di commercio, che esplica il proprio lavoro con il preponderante accordo della gestione personale e con pochi beni strumentali”.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure il contribuente proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco cassando la sentenza impugnata e decidendo nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente. I giudici di legittimità hanno precisato che l’IRAP non afferisce al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi, ne è soggetto passivo anche l’imprenditore familiare, mentre non lo sono i familiari collaboratori – cui viene imputato, a determinate condizioni e proporzionalmente alla rispettive quote di partecipazione, il reddito derivante dall’impresa familiare – colpendo tale imposta il valore della produzione netta dell’impresa ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.
Alla luce di quanto evidenziato nella sentenza in commento si ha come conseguenza la conferma del requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce, peraltro, onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.
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