La Corte di Cassazione, sezione Tributaria, con l’ordinanza n. 27032 depositata il 2 dicembre 2013 intervenendo in materia di esclusione IRAP ha statuito che il reddito elevato non è sempre sintomo di autonoma organizzazione. Di conseguenza, non è soggetto a IRAP il professionista di affermato che dichiara molto, ma che utilizza strutture predisposte da altri.
La vicenda ha riguardato un primario di cardiologia che aveva chiesto, con istanza all’Agenzia delle Entrate, il rimborso delle somme versate a titolo di IRAP. Avverso il diniego dell’Amministrazione finanziaria il contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano le doglianze del ricorrente confermando il diritto al rimboro dell’IRAP pagata poichè sul reddito del professionista tale imposta non era dovuta per mancanza dei presupposti. L’Agenzia impugna la sentenza del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che riforma la pronuncia di primo grado accogliendo l’appello del Fisco.
Il professionista per la cassazione della sentenza del giudice di appello propone ricorso alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono, rinviando ad altra sezione della CTR, il ricorso e cassano la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità affermano, nelle brevi motivazioni, bacchettano i giudici di merito per non aver valutato adeguatamente gli elementi di fatto ed evidenziano che gli elevati redditi professionali prodotti dal contribuente “non costituiscono però di per sé sintomo sufficiente della esistenza di una autonoma organizzazione” (cfr. Cass. nn. 9276 e 9693 del 2012), in quanto ben può accadere che professionisti di “chiara fama” svolgano la loro attività utilizzando strutture da altri predisposte (per esempio in cliniche private o con il regime dell’intra moenia) così come sostenuto dal contribuente.
Nel caso di specie la tesi della non assoggettabilità del medico all’IRAP per l’anno 2004 è resa credibile “dal quadro delle spese da lui affrontate – si legge in sentenza – ove non figurano oneri per dipendenti e per immobili, ma solo oneri per compensi a terzi non dipendenti (attribuite al commercialista) ed altri oneri non meglio precisati e non specificamente valutati dal giudice di merito”.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame conferma l’orientamento che esclude la sola rilevanza del dato reddituale ai fini dell’IRAP. Tra le più recenti pronunce in tal senso si segnala la n. 23113 dell’11 ottobre scorso, che si è occupata del caso di un medico milanese cui era stato notificato un avviso di accertamento per il pagamento di circa 11 mila euro a titolo di IRAP per il 2002.
Il difensore del cardiologo ha efficacemente osservato che l’attività medica si svolgeva sostanzialmente in favore di un solo principale committente (una clinica convenzionata), senza disporre in alcun modo di capitale e lavoro, sicché era evidente l’inesistenza del requisito dell’autonoma organizzazione. Tale linea difensiva ha trovato terreno fertile nel giudizio di cassazione, dove gli Ermellini, in tema di IRAP, affermano che presupposto per l’applicazione dell’imposta, secondo la previsione dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, che ricorre qualora il contribuente sia il responsabile dell’organizzazione e impieghi beni strumentali, eccedenti per quantità o valore, il minimo generalmente ritenuto indispensabile per l’esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (ex multis: Cass. n. 26161 del 2011).
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