La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3671 depositata il 9 febbraio 2024, intervenendo in tema di danni per ritardata segnalazione alla Centrale rischi, ha statuito che la banca che ritarda la segnalazione alla Centrale rischi per cancellazione di correntista in sofferenza deve risarcire il danni qualora dopo che sia intervenuta tra le parti una transazione non provveda con celerità.

La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata che a seguito di una transazione aveva definito un precedente giudizio in relazione ai rapporti di c/c in essere con la banca con cui . Tale accordo prevedeva un versamento, da parte della srl, di una somma pari a 45,000.000 delle ex lire e di ulteriori 10 versamenti mensili da lire 5.000.000 e, quindi, per un totale di lire 95.000.000 e la rinuncia alla ripetizione degli interessi debitori, già corrisposti nel corso del rapporto e di quelli ancora pretesi dalla Banca, calcolati ad un tasso ultra-legale, corrispondendo tassi in eccesso rispetto a quanto dovuto per legge.  Nell’atto transattivo era previsto che, da parte della banca, la comunicazione alla centrale rischi della segnalazione da correntista in sofferenza a correntista “ristrutturata”. La Banca procedeva a tale segnalazione solo al completamento del pagamento dell’intero importo.  La srl citava in giudizio la banca e la cessionaria dei crediti relativi per sentirle condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti, in ragione dell’importo di euro 194.000,00, o di quell’altra somma, maggiore o minore, da determinarsi in corso di causa. In sede di precisazione delle conclusioni si costituì un socio dichiarandosi cessionario del credito litigioso e chiedendo l’estromissione dell’attrice dal processo e l’accoglimento in proprio favore delle domande già formulate dalla cedente. Il Tribunale accolse la domanda di estromissione della s.r.l. e rigettò quella della cessionaria dei crediti e ritenne infondata la domanda di parte attrice, condannandola al pagamento delle spese di lite. Richiamando il testo della transazione, ritenne che le parti non avessero pattuito un termine per l’adempimento, per cui l’attrice non poteva pretendere immediatamente la prestazione gravante sulla banca, consistente nella derubricazione dell’attrice dalla centrale rischi della Banca d’Italia, tanto più che detta attività era rimessa in parte a carico della stessa ed in parte a carico di terzi (e cioè della predetta centrale rischi). Avverso tale decisione la parte attrice propose appello. La Corte territoriale accolse l’appello e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò la Banca, in proprio e quale mandataria della concessionaria del credito, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’appellante di una somma di denaro e al pagamento delle spese processuali. In particolare rigettò la domanda dell’attore di risoluzione per inadempimento della transazione, accertando e dichiarando che l’inadempimento della Banca non era stato essenziale, rispetto alla transazione intervenuta, e/o comunque non tale (quanto alla gravità) da legittimarne una risoluzione. L’attore avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su cinque motivi.

I giudici di legittimità accolgono il ricorso dell’attore, in particolare evidenziano che  “… nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il criterio letterale deve essere necessariamente riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d’interpretazione, e in particolare, oltre al comportamento delle parti anche dopo la conclusione del contratto (art. 1362, 2° co., c.c.) (Cass., 30/8/2019, n. 21840), di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 20/10/2021, n. 28996; Cass., 10/6/2020, n. 11092; Cass., 6/12/2018, n. 31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444; Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., che consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass., 13/11/2018, n. 29016) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c. [che quale criterio d’interpretazione del contratto – fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale” – si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235)], non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882) (così Cass., Sez. III, ord. 08/03/2019, n. 34426). …”

Pertanto per il Supremo consesso la srl aveva subìto il doppio pregiudizio di corrispondere somme che non erano dovute, rinunciando anche alla ripetizione di quelle che comprendevano quelle non dovute: in tali condizioni non si può ritenere che il danno non fosse stato dimostrato.