Corte di Cassazione, sezione civile, ordinanza n. 3671 depositata il 9 febbraio 2024
ritardata segnalazione alla centrale rischi per la cancellazione di correntista in sofferenza – risarcimento danni
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con atto di citazione notificato in data 21/09/2009, S. s.r.l. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la Banca Popolare di Bari (odierna controricorrente), unitamente ad Eurofinance 2000 s.p.a. (cessionaria in blocco dei crediti relativi) per sentir dichiarare la Banca Popolare di Bari gravemente inadempiente ad una transazione intervenuta inter partes il 3/12/2001, con la quale venne definito un precedente giudizio in relazione ai rapporti di c/c presso la filiale di Bari in essere con detta banca, e per sentirle condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti, in ragione dell’importo di euro 194.000,00, o di quell’altra somma, maggiore o minore, da determinarsi in corso di causa.
2. L’attrice S. s.r.l. dedusse che il rapporto di conto corrente era stato regolato sin dall’inizio con interessi debitori calcolati ad un tasso ultra-legale, corrispondendo tassi in eccesso rispetto a quanto dovuto per legge ed aveva transatto una controversia rinunciando al consistente credito derivante dalla ripetizione degli interessi nulli già corrisposti nel corso del rapporto e di quelli ancora pretesi dalla Banca Popolare di Bari.
3. Si costituì la Banca Popolare di Bari chiedendo il rigetto della domanda attorea, in quanto infondata sia in fatto che in diritto.
4. La causa venne istruita mediante CTU per la determinazione delle somme corrisposte in eccesso da S. s.r.l. in favore di Banca Popolare di Bari in forza dell’originario rapporto, in relazione al quale era intervenuto il successivo accordo transattivo.
5. In sede di precisazione delle conclusioni si costituì C. Ce. (odierno ricorrente) dichiarandosi cessionario del credito litigioso e chiedendo l’estromissione dell’attrice dal processo e l’accoglimento in proprio favore delle domande già formulate dalla cedente.
6. Con sentenza n. 77/2013 del 14/01/2013 il Tribunale di Bari accolse la domanda di estromissione di S. s.r.l. e rigettò quella di Eurofinance. Nel merito, ritenne infondata la domanda di parte attrice, condannandola al pagamento delle spese di lite. Richiamando il testo della transazione, ritenne che le parti non avessero pattuito un termine per l’adempimento, per cui l’attrice non poteva pretendere immediatamente la prestazione gravante sulla banca, consistente nella derubricazione dell’attrice dalla centrale rischi della Banca d’Italia, tanto più che detta attività era rimessa in parte a carico della stessa ed in parte a carico di terzi (e cioè della predetta centrale rischi).
7. Avverso detta sentenza il C.Ce. propose appello chiedendone la riforma integrale.
8. Con sentenza n. 142/2019, depositata in data 22/01/2019, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Bari accolse l’appello e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò la Banca Popolare di Bari, in proprio e quale mandataria di Eurofinance 2000, in solido tra loro, al pagamento in favore dell’appellante di una somma di denaro e al pagamento delle spese processuali.
9. La Corte Territoriale rigettò la domanda del C.Ce. di risoluzione per inadempimento della transazione, accertando e dichiarando che l’inadempimento della Banca non era stato essenziale, rispetto alla transazione intervenuta, e/o comunque non tale (quanto alla gravità) da legittimarne una risoluzione. Ha comunque ritenuto la condotta della Banca colposa e tale da legittimare una condanna in via risarcitoria, in base alla motivazione sintetizzata al punto 10 che segue.
10. In ordine alla condotta colposa della banca, la Corte territoriale ha provveduto ad una liquidazione del danno in via equitativa nella misura di euro 1.000,00 per ogni mese di ritardo nella suddetta derubricazione dell’attrice dalla centrale rischi della Banca d’Italia.
Il tutto, motivando (alle pagg. da 8 a 12) che: (i) ai fini dell’accoglimento di una domanda di risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1453 c.c., il giudice deve accertare se esista il contratto, se esista l’inadempimento, se l’inadempimento sia “grave avuto riguardo all’interesse della controparte” (art. 1455 c.c.). (ii) Nell’accordo raggiunto tra le parti, l’oggetto della controversia che si voleva transigere riguardava principalmente il conflitto economico tra le partite di dare-avere, accettando la banca una riduzione della propria pretesa a condizione che il debito fosse estinto nei termini pattuiti (primo acconto e 10 rate mensili). (iii) In questa prospettiva, assumeva scarso rilievo il dedotto inadempimento della banca (derubricazione dell’attrice dalla centrale rischi della Banca d’Italia), in quanto tale determinazione non rientrava quale condizione dell’accordo transattivo, ma piuttosto quale condizione secondaria rispetto al pagamento da eseguirsi. (iv) L’interesse principale della società era infatti quello di estinguere la propria posizione debitoria nei confronti della banca, mentre la cancellazione della segnalazione, se pur di considerevole importanza, sicuramente non costituiva la ragione principale dell’accordo raggiunto con la banca. (v) Una volta accertata l’insussistenza di un grave inadempimento, la Corte ha considerato il ritardo da parte della banca comunque illegittimo ed integrante un inadempimento dell’impegno da essa assunto con la nota del 13/12/2001. (vi) A fronte di tale illecito contrattuale la Corte ha riconosciuto il diritto della parte appellata ad essere risarcita del danno ad esso conseguente. (vii) Sul punto l’attore ha allegato un danno all’immagine nonché un danno patrimoniale-economico, avendo dovuto rinunciare al suo consistente credito nei confronti della Banca Popolare di Bari, nonché il danno derivatogli dalla revoca degli affidamenti anche da parte di altri istituti di Credito che avevano adottato analoghe iniziative restrittive nei suoi confronti, causandogli un danno consistente nella perdita della possibilità di operare presso l’intero sistema bancario, e, soprattutto, presso la clientela che considerava S. s.r.l. insolvente. (viii) Con riferimento ai danni patrimoniali, la Corte ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito adeguata prova né dimostrato il pregiudizio in concreto subìto per effetto della permanenza della segnalazione per 8 mesi nella centrale rischi. (ix) Con riferimento, invece, al profilo risarcitorio della lesione della immagine, la Corte ha reputato che tale lesione costituisse un danno reale che andava risarcito senza necessità per il danneggiato di fornire la prova della sua esistenza, facendo ricorso alla liquidazione con criteri equitativi. Costituisce un fatto notorio che gli intermediari prestano, doverosamente, molta attenzione alle annotazioni presenti in Centrale Rischi e l’appostazione a sofferenza normalmente determina un tipico effetto negativo, nel senso di negare l’affidabilità bancaria al soggetto, con conseguente revoca degli affidamenti in essere anche da parte delle altre banche e blocco per quelli oggetto di nuove richieste. (x) Il danno è stato liquidato in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e della permanenza della segnalazione per ben otto mesi presso la Centrale Rischi. (xi) La Corte ha pertanto riconosciuto all’attore, a carico dell’istituto di credito convenuto, un risarcimento, equitativamente determinato, di euro 1.000,00 a fronte della permanenza della segnalazione per otto mesi presso la centrale rischi di Bankitalia, e un risarcimento per lesione dell’immagine sociale, equitativamente determinato, nella misura complessiva di euro 8.000,00, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo.
11. Avverso la predetta sentenza C.Ce. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui Banca Popolare di Bari resiste con controricorso.
12. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3, cod. proc. civ., “Violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1368 e 1370 e 2697 c.c.”. Il ricorrente censura la decisione della Corte di Appello laddove ha interpretato la transazione intervenuta tra le parti ritenendo che la stessa desse preminente volontà della parte attrice di estinguere la propria obbligazione, e solo come condizione secondaria, quella di ottenere la cancellazione della segnalazione alla centrale rischi di Bankitalia.
1.1 Più specificamente, il ricorrente deduce essere circostanza nota che sia le società che operano sui mercati sia le banche non contrattano o non concedono affidamenti ai soggetti segnalati “a sofferenza” sulla centrale rischi di Bankitalia. Su tale presupposto – deduce il ricorrente – la Corte territoriale ha erroneamente interpretato la transazione intervenuta tra le parti, attribuendo a S. s.r.l. un interesse primario (sistemare la propria posizione debitoria) che non era assolutamente quello di detto soggetto (ma semmai della banca), ma solo un mezzo per pervenire alla cancellazione della segnalazione della propria posizione dalla centrale rischi di Bankitalia, come risulta dalla nota del 22/10/2001 (doc. 4 allegato al ricorso). La proposta venne accettata da BPB con nota del 3/12/2001 (doc. 5 allegato al ricorso), con la precisazione che accettava il pagamento offerto sia nella quantità che nelle sue modalità temporali, e si obbligava, non a cancellare, ma a modificare la posizione di S. s.r.l. da “sofferenza” a “ristrutturata”, e solo dopo il primo versamento di lire 45.000.000.
1.2 Sulla base di tali circostanze, il ricorrente deduce che la volontà delle parti, ex art. 1362 c.c., risultava, per BPB, quella di incassare la somma concordata a stralcio, ma per S. s.r.l., invece, quella di ottenere la variazione della segnalazione a suo carico alla centrale rischi. Dal momento che i tempi di esecuzione della prestazione di BPB rimanevano ambigui (infatti le espressioni “subito dopo” e “compatibilmente con i tempi tecnici necessari”, per la loro totale contrapposizione e indeterminatezza, finivano per annullarsi tra loro), tali espressioni risulterebbero in contrasto: (i) con il principio di interpretazione del contratto secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.p.c., nonché (ii) con il principio di interpretazione contro il predisponente di cui all’art. 1370 c.p.c.
1.3 Passando dal piano interpretativo a quello dell’esecuzione del contratto, il ricorrente censura la sentenza gravata laddove questa ha concluso per la declaratoria di comportamento semplicemente colposo (e non doloso) della banca, il cui inadempimento era, in realtà, di rilevante importanza con riguardo all’interesse concreto di S. s.r.l., la quale non avrebbe mai sottoscritto una transazione con cui pagava somme richieste da BPB senza ottenere in corrispettivo alcunché.
1.4 In conclusione, il ricorrente deduce l’erronea interpretazione della transazione da parte della Corte territoriale (“l’interesse principale della società e estinguere la propria posizione debitoria nei confronti della Banca, mentre la cancellazione della segnalazione, seppur di considerevole importanza, sicuramente non costituiva la ragione principale dell’accordo raggiunto con la banca” (così a p. 9, 4° §, della sentenza)”, laddove la Corte ha ritenuto l’obbligazione di BPB secondaria, e laddove ha ritenuto interesse primario di S. s.r.l. solo quello al pagamento (e non invece quello alla cancellazione della centrale rischi) (così alle pp. 6 ss. e 8 ss. del ricorso).
2. Sul primo motivo. Atteso che l’interpretazione del contratto, riservata al giudice del merito, è in sede di legittimità censurabile solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296), il sindacato di legittimità potendo avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass., 20/10/2021, n. 28996; Cass., 12/5/2020, n. 8810; Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495), va anzitutto osservato come risponda ad orientamento consolidato che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, che va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626; Cass., 10/6/2020, n. 11092 ).
2.1 Si è altresì sottolineato che, nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il criterio letterale deve essere necessariamente riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d’interpretazione, e in particolare, oltre al comportamento delle parti anche dopo la conclusione del contratto (art. 1362, 2° co., c.c.) (Cass., 30/8/2019, n. 21840), di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 20/10/2021, n. 28996; Cass., 10/6/2020, n. 11092; Cass., 6/12/2018, n. 31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444; Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., che consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass., 13/11/2018, n. 29016) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c. [che quale criterio d’interpretazione del contratto – fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale” – si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235)], non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882) (così Cass., Sez. III, ord. 08/03/2019, n. 34426).
2.2 Sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, l’elemento letterale va pertanto considerato non già isolatamente ma in correlazione con gli altri criteri ermeneutici, e primariamente quello funzionale, in coerenza cioè con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare (“causa concreta”) mediante la stipulazione (Cass., 12/11/2019, n. 11092; Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701), con la quale convenzionalmente determinano la disciplina accettata come vincolante (art. 1372 c.c.) del loro rapporto contrattuale (cfr. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882, cit.; Cass., 6/7/2018, n. 17718, cit.).
A tale stregua, “l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. non consente, quale criterio d’interpretazione del contratto, di dare ingresso ad interpretazioni deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale” (nuovamente Cass., Sez. III, ord. 08/03/2019, n. 34426, cit., che si segnala per la considerazione della “causa concreta” quale elemento cardine ai fini interpretativi del contratto).
2.3 Orbene, la Corte di merito è nel caso pervenuta ad un’interpretazione del contratto de quo in termini non consentanei con i suindicati principi. È infatti rimasto nel giudizio di merito accertato che: (i) di seguito ad un precedente giudizio, le parti raggiunsero un accordo che prevedeva, a fronte di maggiori somme dovute, un versamento a saldo e stralcio di ex lire 45,000.000 e di ulteriori 10 versamenti mensili da lire 5.000.000 e, quindi, per un totale di lire 95.000.000.
(ii) Quindi, l’oggetto del contendere verteva sul ritardo della Banca Popolare di Bari a comunicare alla Centrale Rischi che la posizione di
parte attrice non era più da considerarsi in sofferenza, bensì “ristrutturata”. (iii) É circostanza pacifica, oltre che provata attraverso le risultanze documentali (cfr. nota di Banca d’Italia dei 22/08/2002), che fino ad agosto 2002 la S. s.r.l. risultava segnalata alla Centrale Rischi, in ordine al contratto di rapporto di conto corrente indicato con il n. 010.1003995-8 presso Banca Popolare di Bari, quale sofferente per ritardi presenti non regolarizzati. (iv) Risulta altresì, incontestato che dopo il primo versamento, la banca si limitò a far annotare solo la riduzione dell’esposizione in ragione dell’importo del versamento, ma non comunicò la variazione da “sofferenza” in ‘‘ristrutturata”, e la situazione si protrasse per i mesi successivi malgrado la diffida di S. s.r.l. fino al versamento dell’intero importo convenuto in transazione. Solo nell’agosto 2012, dopo l’intervento di Banca d’Italia, si fece annotare la variazione come estinzione del debito. (v) Dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, si ricava inoltre che era interesse della società ottenere la modificazione/cancellazione dalla centrale rischi della posizione a sofferenza, e che la banca, con nota del 03/12/2001, aveva accettato la richiesta nei termini sopra specificati (p. 7 e doc. 6 del ricorso).
(vi) E altresì incontestato che, nonostante il primo versamento di lire 45.000.000 (euro 14.1220,01), era perdurante la appostazione del nome della società nella categoria sofferenze fino alla data del 22/08/2002, rendendo evidente l’illegittimità della condotta della banca e la responsabilità per non avere segnalato “subito dopo” il primo versamento la relativa annotazione alla Centrale rischi della Banca d’ltalia (così alle pp. 6-7 della sentenza).
2.4 Ne consegue che il motivo è fondato, dato che la Corte territoriale non ha fatto buon governo delle norme in materia di interpretazione del contratto.
3 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3, cod. proc. civ., “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo al mancato assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2607 c.c. ed alla sua carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. per non aver dimostrato la parte danneggiata di aver subìto un danno patrimoniale dalla revoca degli affidamenti. – Errata motivazione con riferimento alla revoca degli affidamenti. – Errata motivazione con riferimento alla presunta carenza di interesse di S. s.r.l. ad ottenere la declaratoria di inadempimento ritenuto che il suo interesse sarebbe stato quello di conservare l’esecuzione della transazione”. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha omesso di rilevare che la segnalazione di S. s.r.l. (alla centrale rischi di Bankitalia) produsse effetti negativi che la società aveva cercato di evitare, che si protraevano nel tempo e non erano limitati al termine semestrale in cui la segnalazione non era stata modificata. Inoltre, a detta del ricorrente, la motivazione della Corte non è corretta con riferimento agli aspetti denunciati.
4. Sul secondo motivo. La Corte territoriale, non ha minimamente considerato che la segnalazione di S. s.r.l., nell’arco temporale in cui era rimasta evidenziata, aveva prodotto quegli effetti negativi che la società aveva cercato di evitare, che poi si protraevano nel tempo e non erano limitati al termine semestrale in cui la segnalazione non era stata modificata. ad esempio la ditta Grandolfo di Modugno concessionaria Renault aveva dichiarato di essere disponibile a vendere a S. s.r.l., a mezzo leasing finanziario, un automezzo richiedendo però le fideiussioni di Carella Claudio, C. Ce. e Guerrieri Rosa (doc. 16 allegato al ricorso) Rolo Banca con nota 22/04/2002 aveva revocato gli affidamenti concessi a S. s.r.l. (doc. 17 allegato al ricorso) per complessivi euro 52.089,99; Banca Carime con diffida del 04/03/2002 aveva parimenti revocato i propri affidamenti a S. s.r.l. per oltre euro 155.044,99 (doc. 18 allegato al ricorso). Infine, Banca Nazionale del Lavoro aveva revocato gli affidamenti da essa concessi a S. s.r.l. per euro 69.892,05 (doc. 19 allegato al ricorso).
Tutti i detti atti documentano in maniera inconfutabile l’interesse che aveva S. s.r.l. all’esecuzione immediata della prestazione di BPB. In difetto della sua esecuzione immediata, essa aveva subìto l’indiscriminata negazione di ogni accesso al credito e l’impossibilità di operare sul mercato.
Asserire in tali condizioni che essa non avrebbe avuto interesse ad ottenere la richiesta immediata di modifica della propria segnalazione alla C.R. è contrario al senso stesso della transazione ed alla sua interpretazione letterale/logico/giuridica.
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3, c.p.c., “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo alla violazione dell’art. 2697 c.c.”, laddove la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente che S. s.r.l. non abbia fornito la prova del danno sofferto. Al contrario, sotto l’aspetto contrattuale, il ricorrente e il suo dante causa avrebbero dimostrato che, a causa della segnalazione alla centrale rischi e conseguente transazione, essa aveva dovuto rinunciare all’azione di ripetizione di indebito che aveva promosso in danno della banca per ottenere la restituzione delle somme versate in eccesso ex art. 2041 cod. civ.
6. Sul terzo motivo. La violazione dell’art. 2697 cod. civ. nel giudizio di legittimità non è configurabile con riferimento all’apprezzamento che il giudice di merito abbia fatto delle risultanze probatorie. Una valutazione – questa – che si sottrae in questa sede ad ogni censura, visto che l’eventuale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° co. 1, n. 5 c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4) – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge rilevante (di recente, Cass., Sez. III, ord. 29/11/2019, n. 3964).
6.1 Infatti, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. lav., 8/7/2020, n. 14362; Cass., 29/10/2018, n. 27415; Cass., SS. UU., 7/4/2014, n. 8053). Il motivo è pertanto infondato.
7 Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3, cod. proc. civ., “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riguardo agli artt. 2043, 1175, 1226 e 1375 c.c. e 2697 c.c. per violazione del danno alla persona che la società aveva subìto tanto da aver subito la chiusura di tutte le sue linee di credito e l’impossibilità di operare sul mercato e di ottenere altro credito” Secondo il ricorrente, la Corte Territoriale avrebbe errato nell’aver valutato il danno che la Società aveva subìto.
8. Sul quarto motivo. La Corte territoriale ha ritenuto dovuta non solo una somma liquidata in misura meno che simbolica (euro 1.000,00), ma anche limitata nel tempo, che era stata contenuta al solo periodo in cui la segnalazione era rimasta attiva, quasi che dopo la variazione della segnalazione i suoi effetti negativi avessero miracolosamente cessato di avere effetto.
Anche al riguardo andava considerato che, da un lato, la prova del danno era stata fornita, sia mediante le varie missive delle banche e dei fornitori, che avevano determinato l’impossibilità di S. s.r.l. di operare e di ottenere credito anche da altri istituti bancari.
La prova al riguardo rinveniva anche dalla richiamata CTU espletata in primo grado che, in forza della documentazione bancaria offerta, aveva dimostrato la piena fondatezza della domanda di ripetizione dell’indebito di S. s.r.l. per un importo di oltre euro 235.715,84.
S. s.r.l., infatti, aveva subìto il doppio pregiudizio di corrispondere somme che non erano dovute, rinunciando anche alla ripetizione di quelle che comprendevano quelle non dovute: in tali condizioni non si può ritenere che il danno non fosse stato dimostrato. Il motivo è pertanto fondato.
Alla fondatezza dei motivi, nei suindicati termini e limiti consegue, assorbito il 5° motivo ( con il quale il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3, c.p.c., “Violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento all’art. 91 c.p.c. sebbene la domanda di Carella sia stata accolta dalla Corte di merito, nei limiti anzi indicati, non è stata accolta nemmeno la domanda di condanna al pagamento delle spese sopportate in ragione del rimborso del costo della CTU corrisposte in primo grado”, laddove la Corte di Appello ha ritenuto di compensare le spese di CTU sostenute in primo grado “ritenendole inutili” ), l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio Corte di Appello di Bari, che in diversa composizione procederà a nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione.
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