La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 25724 depositata il 26 settembre 2024, intervenendo in tema di licenziamento disciplinare, ha ribadito il principio secondo cui “In materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia. (Sez. L – , sentenza n. 107 del 03/01/2024, Rv. 669701 – 01)”
La vicenda ha riguardato un lavoratore dipendente di una società esercente l’attività di servizio di recapito postale. Il dipendente veniva licenziato dalla datrice di lavoro in quanto, addetto al servizio di recapito postale con ciclomotore, circolava privo di patente in corso di validità e con il casco non allacciato. Il dipendete impugnava il provvedimento di espulsione. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, dichiarava illegittimo il licenziamento. La società datrice di lavoro appellava la sentenza di prime cure. La Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava legittimo il licenziamento. Il lavoratore avverso la sentenza di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su sei motivi.
I giudici di legittimità dichiaravano inammissibile il ricorso.
Per gli Ermellini, i giudici di merito, si sono conformati alla “giurisprudenza di legittimità nella interpretazione della medesima norma contrattuale (si veda Cass. 24367/2015) ha ritenuto che i fatti dovessero essere sussunti nella stessa, poiché l’aver continuato a guidare il motoveicolo dal novembre 2019 all’aprile 2020 senza la patente in corso di validità, costituiva una condotta intenzionale, e foriera di pregiudizio per la società.“
Inoltre, i giudici di piazza Cavour, hanno evidenziato che il giudice di appello “nell’esaminare i fatti ha ritenuto che gli stessi fossero sussumibili nella norma contrattuale di riferimento, conformemente alla interpretazione che, della stessa, in più occasioni, ha fornito questa corte, che ha chiarito come rileva nella norma il concetto di “dolo più generale (dolo diretto), coincidente con la rappresentazione e, volizione del fatto costituente l’addebito disciplinare, nel senso che l’evento è preveduto e voluto quale conseguenza della propria azione.” (in termini Cass. 24367/2017, est. E.).”
Il Supremo consesso, nel considerare non trascurabile il danno dalla condotta del lavoratore, ha precisato che “il carattere della patrimonialità, che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario ne’ una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato” (in tal senso Cass. Sez. 2, sentenza n. 9740 del 05/07/2002, Rv. 555533, i cui rilievi, sia pure resi in tema di responsabilità extracontrattuale, sono pertinenti al caso in disamina).”