La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 11172 depositata il 26 aprile 2024. intervenendo in tema di decadenza del potere accertativo. ha ribadito il principio secondo cui “… In tema di sanzioni amministrative pecuniarie di natura tributaria, il termine di decadenza per il potere accertativo che l’art. 5, commi 4 e 5, del d.l. n. 167 del 1990, conv., con modif., nella l. n. 227 del 1990, contempla per l’omissione della dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività finanziarie all’estero di cui all’art. 4 dello stesso decreto, deve essere individuato, tra quelli indicati dall’art. 20 del d.lgs. n. 472 del 1997, non nel termine che fa riferimento al tempo della commissione della violazione, ma in quello maggiore previsto per l’accertamento del tributo dovuto, tenuto conto del raddoppio dei termini introdotto dall’art. 12, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., nella l. n. 102 del 2009, applicabile, trattandosi di norma di carattere procedimentale, anche nei periodi d’imposta precedenti a quello della loro entrata in vigore” (Cass. 28/11/2018, n. 30742; Cass. 14/11/2019, n. 29632). …”
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato cinque distinti avvisi di accertamento ai fini IRPEF a seguito di accertamenti su attività finanziarie del contribuente localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, per le quali non risultavano adempiuti gli specifici obblighi di dichiarazione ex art. 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, provvedeva a riprendere a tassazione redditi diversi (per un importo pari alle somme transitate sui conti correnti esteri), nonché redditi di capitale sottoposti a tassazione separata, il tutto in forza del combinato disposto degli artt. 6 del d.l. n. 167/1990, 12 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 e 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Avverso tali atti impositivi il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure previa riunione dei ricorsi rigettavano i ricorsi del contribuente, confermando gli avvisi di accertamento impugnati. Il contribuente impugnava la sentenza di primo grado. I giudici di appello accoglievano il gravame del contribuente, annullando gli avvisi di accertamento impugnati. L’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità accolgono il ricorso, cassano la sentenza impugnata con rinvio. In particolare hanno ritenuto fondato la doglianza inerente il vizio di ultra-petizione con cui il giudice di merito aveva ritenuto valida e fondata la dedotta eccezione di decadenza dal potere impositivo e sanzionatorio rispetto a ogni specifica annualità d’imposta, senza che il contribuente avesse sollevato la relativa eccezione per ogni annualità.
Gli Ermellini evidenziano che “… la circostanza che il contribuente fosse imputato per fattispecie di reato diverse da quelle di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (il reato di cui all’art. 319 c.p. “Corruzione per un atto contrario a doveri d’ufficio” e le imputazioni correlate di cui agli articoli 110 c.p. – concorso, 81 c.p. reato continuato, 321 c.p. pene per il corruttore, 3 e 4 L. 146/2006 reato transnazionale, come risulta da 15 del ricorso per cassazione) non esclude che, in applicazione dei principi fatti propri dalla giurisprudenza maggioritaria di legittimità, potesse applicarsi il regime del raddoppio dei termini in virtù di un obbligo di denuncia “ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”; il testo della norma (art. 43, comma terzo, d.P.R. n. 600 del 1973), invero, deve essere letto in chiave estensiva, non dovendo essersi necessariamente in presenza di reati tributari ma di violazioni suscettibili di comportare un obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. per reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000. …”