La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 34476 depositata il 12 settembre 2024, intervenendo in tema di incompatibilità assoluta del legale rappresentante indagato, ha ribadito il principio secondo cui “con Sez. 6, n. 41398 del 19/06/2009, Caporello, Rv. 244406, la Corte di cassazione aveva chiarito come la disposizione di cui all’art. 39 lgs. 231 del 2001 vieti esplicitamente al rappresentante legale, che sia indagato/imputato del reato presupposto, di rappresentare l’ente; una proibizione che si giustifica in quanto il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse, o nell’interesse di terzi, ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante.“
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata , a cui veniva contestato l’illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dall’art. 24 d.lgs. 231/2001. Il reato presupposto per cui si procedeva era quello previsto dall’art. 316 bis cod. pen., contestato al legale rappresentante della società. La società presentava la richiesta di riesame avverso l’ordinanza con cui è stato disposto nei confronti dell’ente il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di alcuni beni in relazione all’illecito di cui all’art. 24 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Il Tribunale del riesame dichiarava inammissibile per essere stato proposto da un difensore nominato dallo stesso rappresentante legale indagato. La società, avverso la decisione del Tribunale del riesame, proponeva ricorso in cassazione fondato su due motivi.
I giudici di legittimità annullavano l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale per “accertare, al fine di verificare l’ammissibilità della richiesta di riesame, cosa sia stato effettivamente comunicato all’ente e se l’ente, in concreto, al momento della proposizione della richiesta di riesame, fosse consapevole di essere indagato e dunque, fosse consapevole della incompatibilità assoluta del suo legale rappresentante, indagato a sua volta, in quanto autore dell’reato presupposto.”
In particolare gli Ermellini ribadiscono che “Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39, si è chiarito, è, dunque, assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; detto diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale (così testualmente Sez. 6, n. 41398 del 2009, cit.).
Tali argomentazioni sono state ribadite e sviluppate ulteriormente dalle Sezioni unite che, con specifico riguardo al tema del riesame proposto – senza costituzione in giudizio – da difensore nominato dal legale rappresentante, hanno precisato che è ammissibile la richiesta di riesame presentata avverso il decreto di sequestro preventivo dal difensore di fiducia nominato dal rappresentante dell’ente secondo il disposto dell’art. 96 cod. proc. pen., ed in assenza di un previo atto formale di costituzione a norma dell’art. 39 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, sempre che, precedentemente o contestualmente alla esecuzione del sequestro, non sia stata comunicata la informazione di garanzia prevista dall’art. 57 del d.lgs. medesimo (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Gabrielloni, Rv. 264309). “