La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 31665 depositata il 2 agosto 2024, intervenendo in tema di responsabilità amministrativa della società per i reati commessi da propri dipendenti, ha ribadito il principio secondo cui “… ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o inidoneità degli specifici modelli di organizzazione o la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione, per l’appunto, della “colpa di organizzazione”, che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato (Sez. 4, n. 18413 del 15/2/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina, Rv. 283247-01). Nell’affermare tale principio, peraltro, si è spiegato in motivazione (richiamando Sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Castaldo, sul disastro ferroviario di Viareggio) che la struttura dell’illecito addebitato all’ente incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno la funzione di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito a quest’ultimo un reato commesso sì da soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi di questa. Ciò consente di dire, dunque, che l’ente risponde per fatto proprio e che per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata una “colpa di organizzazione” dell’ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

A riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo e spetta all’accusa, pertanto, dimostrare l’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa dell’ente e l’avere essa agito nell’interesse del secondo, previa individuazione di precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro (in motivazione, Sez. 6, n. 27735 del 18/2/2010, Scarafià, Rv. 247666).

Si tratta di un’interpretazione – che il Collegio intende ribadire – che, in sostanza, attribuisce al requisito della “colpa di organizzazione” dell’ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, cioè di elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare. Essa va dimostrata dall’accusa e l’ente può dimostrarne l’assenza, gli elementi costitutivi dell’illecito essendo rappresentati dalla sopra descritta immedesimazione organica “rafforzata”, ma anche dalla carenza di un adeguato modello organizzativo, oltre che dal reato presupposto e dal nesso causale tra i due (in motivazione, Sez. 4, n. 18413 del 15/02/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina Srl, cit.).…”

La vicenda ha riguardato una società multinazionale, il cui presidente veniva, in concorso con gli altri membri del consiglio di amministrazione e dell’operation manager (a cui era stata conferita una delega per funzione), accusato per il rapimento di propri dipendenti di cui alcuni deceduti, avvenuto all’estero anche causa della mancata prevenzione del rischio legato alla presenza di bande armate sul territorio del Paese straniero. Il GUP, all’esito di giudizio abbreviato, condannava gli imputati e la società, ritenuta l’ipotesi di cui al co. 2 dell’art. 12 D.Lgs. 231/2001 alla sanzione pecuniaria di Euro 150.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali in relazione all’illecito di cui all’ art. 25-septies D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 in relazione all’ art. 589 cod. pen. perché, gli imputati, quali componenti del Consiglio di Amministrazione e perciò quali titolari della posizione pubblica di garanzia e cioè del dovere di individuazione e valutazione dei rischi aziendali e comunque di alta vigilanza sulla gestione della società, e, pertanto preposti ad adottare, nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza, e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro. La Corte di appello riformava la sentenza di primo grado assolvendo dai reati loro ascritti i componenti del consiglio di amministrazione per non aver commesso il fatto e confermando l’affermazione di responsabilità dell’illecito amministrativo dell’ente. Avverso la decisione di appello ricorrono in cassazione entrambe le parti del processo.

I giudici di legittimità annullano senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della società perché l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies D.Lgs. 231/2001 non sussiste.

Per gli Ermellini “… costituisce ormai ius receptum nei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità la circostanza che i requisiti dell'”interesse” e del “vantaggio” debbano essere valutati nel contesto generale dei fatti ed in stretto collegamento con le verifiche relative alla sussistenza o meno di una “colpa di organizzazione”, dando così rilevanza anche al carattere sporadico o meno della violazione. Si legge, in particolare, in Sez. 4, n. 33976, del 30/06/2022, Cantina Sociale Bartolomeo da Breganze S.c.a.r.l., Rv. 283556, che, per quanto anche una unica e isolata violazione della norma cautelare possa fondare la responsabilità dell’ente, “il connotato della sistematicità delle violazioni ben può rilevare su un piano strettamente probatorio, quale possibile indice della sussistenza e “consistenza”, sul piano economico, del vantaggio, derivante dalla mancata previsione e/o adozione delle dovute misure di prevenzione”.

Dunque, pur in assenza di una sistematicità delle violazioni e in presenza di un vantaggio “esiguo” (ipotizzato nel caso in esame sotto il profilo del risparmio di spesa), è da approfondire il rilievo di tali connotazioni oggettive ai fini dell’addebito a carico dell’ente. E a tal fine non va trascurato il dictum di Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276-02 che, per impedire un’automatica applicazione della norma che ne dilati a dismisura l’ambito di operatività ad ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione, anche isolata, ha condivisibilmente affermato che l’esiguità del risparmio può rilevare per escludere il profilo dell’interesse e/o del vantaggio, e, quindi, la responsabilità dell’ente, ove la violazione si collochi in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza.

Peraltro, la sentenza impugnata non opera un buon governo neanche dei dieta di Sez. 4 n. 12149/2021, Rodenghi, Rv. 280877-01 quanto al collegamento finalistico tra violazione interesse dell’ente e di Sez. 3, n. 20559 del 24/03/2022, Comune di Molfetta c. Balestri, Rv. 283234-01 che ha affermato il principio che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dai reati di omicidio colposo plurimo e di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio societario, può sussistere anche a fronte di una singola condotta illecita, ma ha comunque posto l’accento sul fatto che il vantaggio stesso deve essere oggettivamente apprezzabile (ad esempio in termini di fatturato o di ampliamento dei settori di operatività, ed eziologicamente collegato all’attività societaria). …”