La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7309 depositata il 19 marzo 2025, intervenendo in tema di impugnabili delle variazioni catastali nel processo tributario, ha ribadito il principio secondo cui “In tema di contenzioso tributario, l’atto di diniego della variazione catastale, emesso a seguito di richiesta del contribuente, rientra tra quelli relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – norma quest’ultima che annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo nonché quelle, concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale – per cui è impugnabile, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. f), del D.Lgs. n. 546 del 1992, dinanzi al giudice tributario.
(Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente avverso il diniego dell’Amministrazione a fronte di una richiesta di variazione catastale, concernente l’erronea decorrenza della classificazione catastale di un complesso industriale in categoria F/2, con invito all’amministrazione finanziaria ad apportare la necessaria correzione, sul presupposto della sua non impugnabilità dinanzi al giudice tributario)” (Cass., 26 luglio 2024, n. 21010; conf., da ultimo, Cass., 01 marzo 2025, n. 5454).“
I giudici di legittimità hanno precisato, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, che “al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita proposta con la procedura DOCFA, quando la situazione di fatto o di diritto ab origine denunziata non sia veritiera (cfr. Cass., 13 giugno 2014, n. 13535; Cass., 13 febbraio 2015, nn. 2995 e 3001; Cass., 21 giugno 2021, n. 17627); inoltre, il termine di dodici mesi dalla presentazione della DOCFA, fissato dall’art. 1 del D.M. 19 aprile 1994 n. 701, per la determinazione della rendita catastale definitiva da parte dell’amministrazione finanziaria (eventualmente modificativa della rendita proposta dal contribuente), non ha natura perentoria, ma meramente ordinatoria, costituendo una modalità di esercizio dei poteri per la formazione e l’aggiornamento del catasto (Cass., 11 marzo 2011, n. 5843; Cass., 19 marzo 2014, n. 6411; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2995; Cass., 19 febbraio 2015, nn. 3355 e 3358; Cass., 13 marzo 2015, n. 5051), con il duplice corollario che l’esito del procedimento di classamento è di tipo accertativo e mira solo a fornire chiarezza sul valore economico del bene, attraverso il sistema del catasto, in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi d’imposta, e che quando la situazione di fatto e di diritto denunziata non sia veritiera il contribuente mantiene il diritto di modificare la rendita proposta all’amministrazione finanziaria (Cass., 4 novembre 2021, n. 31574).”
Gli Ermellini hanno evidenziato e precisato che ” il diniego o rifiuto di variazione catastale non rientra nella tipologia degli atti impugnabili soltanto sub specie del diniego espresso o tacito di autotutela, che può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass, 16 marzo 2021, n. 7378).”
Inoltre, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito e ribadito il principio secondo cui ” l’art. 19, primo comma, lett. f), del D.Lgs. n. 546 del 1992 stabilisce che il ricorso può essere proposto avverso “gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2”, dello stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, norma quest’ultima che annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti “la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale” e, in particolare, l’attribuzione della rendita catastale all’immobile posseduto, che è, quindi, impugnabile dinanzi le commissioni tributarie (Cass., 13 febbraio 2015, n. 3011; Cass., 24 gennaio 2019, n. 2006). “