La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12590 depositata il 25 giugno 2020 intervenendo in tema di operazioni soggettivamente inesistenti ha affermato che “la vendita di autovetture sottocosto costituisce elemento sintomatico di una possibile frode erariale che, a prescindere dall’entità della percentuale applicata dal venditore, avrebbe dovuto comunque insospettire l’acquirente ed indurlo ad accertarsi della regolarità dell’operazione commerciale”
La vicenda ha riguardato una società di persona ed i suoi soci nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni intercorse con una srl che l’amministrazione finanziaria riteneva inesistenti. I contribuenti avverso tale atto impositivo depositavano ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolsero parzialmente le doglianze dei ricorrenti riducendo la pretesa fiscale. I contribuenti proponevano, avverso la decisione della CTP, ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello accolsero le doglianze dei contribuenti ritenendo che nella specie l’Agenzia delle entrate non aveva adempiuto l’onere probatorio sulla medesima incombente circa la consapevolezza della società contribuente di partecipare ad una frode, sostenendo che la cessione di autovetture con un sottocosto di entità variabile dal 4,40% al 13,78% era troppo modesto per autorizzare nel cessionario il sospetto di una frode fiscale. L’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini accolsero il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
I giudici di legittimità richiamano i principi unionali ribadendo che “Gli articoli 167, 168, lettera a), 178, lettera a), e 273 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che ostano a una prassi nazionale in base alla quale l’amministrazione fiscale nega il diritto a detrazione con la motivazione che il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, o con la motivazione che il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente”
In particolare il principio unionale secondo cui “non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d)”.
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