La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 30080 depositata il 21 novembre 2024, intervenendo in tema di licenziamento di persona disabile per assenza ingiustificata, ha ribadito il principio secondo cui il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta, avanzata dal datore, di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con l’adibizione costante del prestatore ad un impegno lavorativo gravoso nonché ostativi al recupero delle energie psicofisiche ed alla cura degli interessi familiari del medesimo, (escludendosi) una condotta di insubordinazione (…) (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo il rifiuto di una guardia giurata – con turni quotidiani di lavoro, mantenuti nel tempo pur in assenza di comprovate esigenze aziendali, con orario dalle 23,55 alle 6.00 e dalle 16.00 alle 22.00 – di eseguire, al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, il compito aggiuntivo di riscossione delle fatture, Cass. n. 12094 del 2018)”;”

La vicenda ha visto protagonista un dipendente di una società, ammalato di cancro ed  invalido al 100% e portatore di handicap in situazione di gravità, a cui il datore di lavoro aveva intimato il licenziamento per assenza ingiustificata. Il dipendente impugnava il provvedimento espulsivo. Il Tribunale adito, nella veste di giudice el lavoro, aveva ritenuto legittimo il licenziamento avendo dato atto che “al lavoratore, che aveva maturato il periodo massimo di comporto, era stata concessa aspettativa non retribuita ex art. 51 CCNL di settore e, allo scadere di questo ulteriore periodo, la società lo aveva invitato a riprendere servizio presso la sede di ultima assegnazione (G), ricevendo dapprima un argomentato diniego e, a fronte di due ulteriori inviti, nessun riscontro. Il dipendente impugnava la decisione del giudice di prime cure. La Corte di appello confermava la sentenza impugnata. Il lavoratore proponeva, avverso la sentenza di appello, ricorso per cassazione fondato su sei motivi.

I giudici di legittimità accoglievano il terzo e il quinto motivo del ricorso, dichiaravano assorbiti gli altri, cassavano la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinviavano alla Corte di Appello.

Gli Ermellini, preliminarmente, evidenziano che “il D.Lgs. n. 216 del 2003, nel dare “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”, ha stabilito, tra l’altro, che “Il principio di parità di trattamento senza distinzione … di handicap … si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale

(…) la Convenzione ONU definisce (art. 2) per “discriminazione fondata sulla disabilità qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”; per “accomodamento ragionevole” intende “le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”. In ambito comunitario, la direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, dopo una serie di considerando, all’art. 1 sancisce che essa “… mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate (su) … gli handicap … per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento”. L’art. 5 poi, intitolato “Soluzioni ragionevoli per i disabili”, statuisce: “Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato (…)”;”

I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto che hanno errato i giudici di appello in quanto nell’applicare il disposto dell’art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale il lavoratore può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, non risulti contrario a buona fede (cfr. per tutte Cass. n. 11408 del 2018), avrebbe dovuto tenere in adeguato conto “della entità dell’inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto” così come “della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore” (cfr., tra le altre, Cass. n. 4404 del 2022, pure richiamata dalla Corte territoriale, che ribadisce la già citata n. 11408/2018); pertanto, non avrebbe dovuto “prescindere” – come invece ha dichiarato di fare – dalla consistenza dell’obbligo di accomodamenti ragionevoli gravanti sul datore di lavoro nei confronti della persona con disabilità (cfr. Cass. n. 6497 del 2021, cui si rinvia, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per ogni ulteriore aspetto qui non affrontato), dotata di peculiare protezione a salvaguardia di fondamentali esigenze di vita e di salute, tanto che il rifiuto di accomodamento ragionevole costituisce atto discriminatorio, come tale affetto da nullità, di cui certo il datore di lavoro non può trarre vantaggio in alcun modo”

Inoltre, il Supremo consesso ha ricordato una propria decisione secondo cui il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta, avanzata dal datore, di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con l’adibizione costante del prestatore ad un impegno lavorativo gravoso nonché ostativi al recupero delle energie psicofisiche ed alla cura degli interessi familiari del medesimo, (escludendosi) una condotta di insubordinazione (…) (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo il rifiuto di una guardia giurata – con turni quotidiani di lavoro, mantenuti nel tempo pur in assenza di comprovate esigenze aziendali, con orario dalle 23,55 alle 6.00 e dalle 16.00 alle 22.00 – di eseguire, al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, il compito aggiuntivo di riscossione delle fatture, Cass. n. 12094 del 2018)”;”