La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 13764 depositata il 17 maggio 2024, intervenendo in tema di licenziamento per giusta causa, ha affermato il principio secondo cui “… nell’ipotesi di ordine di reintegrazione del lavoratore ai sensi dell’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970, nel testo applicabile anteriormente alle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012, che il diritto al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno non è subordinato, diversamente da quanto accade nel caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a tempo determinato per nullità del termine, alla messa in mora del datore di lavoro mediante l’offerta della prestazione lavorativa da parte del lavoratore, atteso che quest’ultimo mette a disposizione le proprie energie lavorative già con l’impugnativa in via stragiudiziale del recesso illegittimo, a fronte del rifiuto datoriale di riceverne la prestazione, manifestato con l’intimazione del licenziamento (Cass. 6 giugno 2019, n. 15379); …”
La vicenda ha riguardato un dipendente licenziato a seguito la pubblicazione su Facebook di un post denigratorio nei confronti dell’azienda dopo la reintegra e prima della ripresa dell’attività lavorativa integra la giusta causa di licenziamento. Il dipendente impugna il secondo licenziamento. Il Tribunale adito rigetta le doglianze del lavoratore. Avverso la sentenza dei giudici di prime cure il dipendente propone appello. La Corte territoriale rigettava il reclamo del lavoratore. In particolare ha ritenuto giusta causa di licenziamento, per elisione del rapporto fiduciario tra le parti, avere il lavoratore, nelle circostanze temporali suindicate, pubblicato sulla propria pagina personale del social network Facebook video e soprattutto foto (a prescindere dalla sua personale ideazione dei “post fotografici”, comunque fatti propri per il mantenimento nella bacheca), eccedenti i limiti di un corretto esercizio del diritto di critica, siccome di palese intento diffamatorio. Il lavoratore avverso la sentenza di appello propone ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di legittimità rigettano il ricorso del dipendente.
Per gli Ermellini non può trovare accoglimento la censura avanzata dal lavoratore secondo cui la condotta contestata era stata posta in essere prima della ripresa dell’attività da parte del medesimo, in quanto, nel caso di specie, l’ordine di reintegrazione riattiva tutte le obbligazioni del rapporto di lavoro, rimaste (solo) quiescenti a seguito del licenziamento illegittimo del lavoratore.
Pertanto, per il Supremo consesso, un illecito commesso nel lasso temporale intercorrente tra la lettura del dispositivo della sentenza di reintegra e la (effettiva) ripresa dell’attività lavorativa deve essere valutato da un punto di vista disciplinare.