La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13488 depositata il 2 luglio 2020 intervenendo in tema dei requisiti ai fini dell’applicazione dell’accertamento analitico-induttivo ha statuito che “in caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti, è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, a norma dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, <<dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento»
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata in liquidazione ed i suoi due soci. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica, notificava un avviso di accertamento con cui recuperava maggiori ricavi di cui era stata omessa la contabilizzazione. I maggiori ricavi erano stati determinati applicando un ricarico con riferimento ad una percentuale di ricarico del prezzo relativa all’anno precedente. Avverso l’atto impositivo la società e solo uno dei soci ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure riuniti i ricorsi, li accoglievano. L’Amministrazione finanziaria avverso la decisione della CTP proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformavano la sentenza di primo grado. In particolare ritenevano che gli errori formali evidenziati dalla società erano inattendibili, che i ricavi dichiarati nello studio di settore si attestavano al di sotto del ricavo minimo di riferimento e che il reddito d’impresa presentava forti perdite di esercizio dal 2000 al 2004, il che dimostrava l’antieconomicità dell’attività d’impresa. La società ed il socio impugnavano la sentenza della CTR con ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
Gli Ermellini accolgono il primo motivo, il secondo ed il quarto motivo e dichiarano assorbito il terzo. In particolare, chiariscono che il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo cd. analitico extracontabile (art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973) e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro (art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 ed art. 55, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972 in materia di imposte indirette) va ricercato rispettivamente nella <<parziale od assoluta>> inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nel primo caso, la <<incompletezza, falsità od inesattezza>> degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a <<completare>> le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 cod. civ.. Nel secondo caso, invece, <<le omissioni o le false od inesatte indicazioni» risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli <<altri>> dati contabili, con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può <<prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio o delle scritture contabili in quanto esistenti» ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ.
Per cui in caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti, è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, a norma dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, <<dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento»
Per i giudici di legittimità gli errori formali commessi nella compilazione dello studio di settore relativamente al valore dei beni strumentali possono rilevare ai fini dell’attendibilità di quanto riportato in sede di dichiarazione dei redditi, ma non derivano da una omessa o non corretta tenuta della contabilità e comunque non integrano omissioni o false e inesatte indicazioni nelle scritture contabili. Pertanto nei casi in cui la antieconomicità della condotta tenuta dalla società, basata sulle perdite di esercizio rilevate nell’anno oggetto di accertamento e negli anni di imposta precedenti, non riflette una automatica irregolarità nella tenuta delle scritture contabili.
Infine per i giudici della Suprema Corte la scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico, non costituisce oggetto di specifica previsione legislativa, deve, tuttavia, rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento, essendo consentito il ricorso al criterio della <<media aritmetica semplice>> in luogo della <<media ponderale>> quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio.
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