CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2020, n. 13488

Accertamento – Omessa contabilizzazione dei ricavi – Legittimazione in via induttiva dei ricavi

Rilevato che

La società A. s.r.l. in liquidazione ed i soci M.M. e M.B. ricorrevano avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2003, con il quale l’Ufficio recuperava maggiori ricavi di cui era stata omessa la contabilizzazione per euro 145.939,47.

Il socio M.B. accettava l’accertamento con adesione, mentre la società contribuente deduceva, per quanto di interesse in questa sede, che l’accertamento aveva preso in considerazione solo alcuni degli articoli oggetto di vendita, facendo peraltro riferimento ad una percentuale di ricarico del prezzo relativa all’anno precedente.

La Commissione provinciale, riuniti i ricorsi, li accoglieva.

In esito all’appello proposto dall’Ufficio, la Commissione regionale riformava la sentenza di primo grado, rilevando, preliminarmente, che l’avviso di accertamento a carico della società era stato notificato a M.M., nella qualità di legale rappresentante della stessa, e che in ogni caso eventuali nullità della notifica risultavano sanate ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ.

Nel merito, riteneva che gli errori formali evidenziati dalla società erano inattendibili, che i ricavi dichiarati nello studio di settore si attestavano al di sotto del ricavo minimo di riferimento e che il reddito d’impresa presentava forti perdite di esercizio dal 2000 al 2004, il che dimostrava l’antieconomicità dell’attività d’impresa; affermava, quindi, che tali elementi consentivano di determinare in via induttiva il reddito d’impresa, tenuto conto che il campione esaminato per la ricostruzione dei ricarichi era altamente rappresentativo della realtà aziendale ed era frutto dei dati esposti dalla stessa società nel quadro D dello studio di settore.

Ricorrono per la cassazione della suddetta decisione la società A. s.r.l. in liquidazione e M.M., con quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Considerato che

1. Con il primo motivo i ricorrenti, censurando la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 39, secondo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, lamentano che i giudici di appello hanno ritenuto legittimo l’accertamento induttivo puro utilizzato dall’Ufficio, pur trattandosi di accertamento che può essere effettato solo <<quando le omissioni o le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione siano così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica>>.

Precisano che l’Agenzia delle Entrate, avendo riscontrato una incongruenza fra il valore dei beni strumentali riportato dalla società nello studio di settore rispetto a quello effettivo, ha ritenuto del tutto inattendibile la contabilità e, quindi, legittima la rideterminazione in via induttiva di maggiori ricavi pari alla differenza fra i corrispettivi di vendita dichiarati e quelli calcolati applicando una percentuale di ricarico sulle vendite; poiché l’incongruenza dipendeva in realtà da una mera svista materiale, essa non poteva legittimare l’Amministrazione ad accertare il reddito di impresa induttivamente e, peraltro, l’asserita antieconomicità della condotta fondata sulle perdite di esercizio dichiarate nel 2003 e nei precedenti periodi di imposta non rifletteva alcuna irregolarità nella tenuta delle scritture contabili.

La Commissione regionale, violando la disposizione normativa richiamata in rubrica, aveva confermato la pretesa fiscale sulla base di presunzioni <<semplicissime>>, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, considerato che nello stesso avviso di accertamento era stato evidenziato che le perdite registrate dalla società erano <<costanti>>, circostanza questa che portava ad escludere l’anomalia delle perdite e l’inattendibilità della contabilità.

2. Con il secondo motivo, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo costituito dalla sussistenza dei presupposti legittimanti l’Agenzia a procedere ad una ricostruzione induttiva del reddito di impresa, nonché violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att cod. proc. civ., censurano la sentenza impugnata sulla medesima questione relativamente al contenuto motivazionale minimo che essa deve presentare, sottolineando che essa poggia su affermazioni riassuntive della parte motiva degli avvisi di accertamento impugnati che pretermettono le risultanze istruttorie e le argomentazioni difensive delle parti contribuenti.

Evidenziano, al riguardo, che nel giudizio di merito avevano documentato le seguenti circostanze di fatto:

a) il socio M.M. non aveva mai svolto attività nella società A.C. s.a.s. nei periodi di imposta 2002 e 2003;

b) il valore dei beni strumentali riportato in sede di dichiarazione dalla contribuente nel quadro degli studi di settore era riconducibile ad un errore di battitura rispetto a quello corretto presente nella contabilità della società e l’importo indicato come <<esatto di euro 61.119,00>> dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento era, in realtà, errato perché si riferiva alla precedente annualità (2002).

La motivazione resa dai giudici regionali trascurava i rilievi fatti valere dai contribuenti ed i documenti posti a conforto di tali assunti difensivi, atteso che non forniva alcuna giustificazione del convincimento raggiunto.

3. Il secondo motivo, laddove si denuncia un error in procedendo, deve essere trattato preliminarmente ed è infondato.

3.1. Per consolidato e condivisibile indirizzo di questa Corte, la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., qualora risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda, ovvero quando la motivazione sia solo apparente, poiché si estrinseca in argomentazioni non idonee a rivelare le ragioni della decisione, ossia non siano indicati gli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento, o ancora se tali elementi siano indicati senza una adeguata disamina logico-giuridica, mentre tale vizio resta escluso con riguardo alla valutazione delle circostanze in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. Sez. U, 21 dicembre 2009, n. 26825).

3.2. La motivazione è, quindi, solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile ¡I fondamento della decisione, perché recante argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232).

3.3. Nella specie, non è ravvisabile motivazione apparente in quanto la Commissione regionale, nel confermare l’atto impositivo, ha indicato gli elementi indiziari dai quali ha tratto il convincimento che l’accertamento induttivo adottato dall’Ufficio fosse legittimo, avendo ritenuto inattendibili gli errori formali prospettati dalla società contribuente, non congrui i ricavi dichiarati con lo studio di settore e antieconomica l’attività di impresa in ragione delle rilevate perdite di esercizio riscontrate nel periodo compreso tra il 2000 e il 2004.

Trattandosi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, eventuali profili di <<insufficienza>> della motivazione non determinano nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.

4. Il vizio di violazione di legge, dedotto con il primo motivo, e il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., pure formulato con il secondo mezzo di ricorso, strettamente connessi perché vertenti sulla medesima questione, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.

4.1. Questa Corte ha invero chiarito che il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo cd. analitico extracontabile (art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973) e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro (art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600/1973 ed art. 55, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972 in materia di imposte indirette) va ricercato rispettivamente nella <<parziale od assoluta>> inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nel primo caso, la <<incompletezza, falsità od inesattezza>> degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a <<completare>> le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 cod. civ.. Nel secondo caso, invece, <<le omissioni o le false od inesatte indicazioni» risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli <<altri>> dati contabili, con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può <<prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio o delle scritture contabili in quanto esistenti» ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ. (Cass. n. 17952 del 24/7/2013; Cass. 1951 del 4/2/2015; Cass. n. 18695 del 13/7/2018; Cass. n. 6861 del 8/3/2019).

4.2. Ne consegue che, in caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti, è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, a norma dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, <<dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali è compresa la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento» (Cass. 11813 del 6/8/2002; Cass. 17852 del 22/7/2013; Cass. 24482 del 18/11/2014; Cass. n. 25102 del 26/11/2014), ben potendo la rideterminazione del ricarico integrare operazione finalizzata alla ricostruzione del volume d’affari (Cass. n. 17952 del 24/7/2013; Cass. n. 11813 del 6/8/2002).

4.3. I giudici regionali hanno ritenuto sussistenti i presupposti per procedere all’accertamento induttivo cd. <<puro>>.

A tale conclusione sono pervenuti prendendo le mosse dalle risultanze del processo verbale di constatazione, dal quale emergeva che lo studio di settore compilato dalla stessa contribuente riportava dati non congrui quanto ai ricavi dichiarati, perché inferiori al ricavo minimo previsto per il settore di riferimento, e che la società operava da alcuni anni in perdita di esercizio, situazione questa che lasciava ritenere che la condotta tenuta dall’impresa non fosse improntata a criteri di economicità; hanno pure considerato che la stessa contribuente aveva riconosciuto l’esistenza di errori materiali nella compilazione della dichiarazione dei redditi, dato che il valore dei beni strumentali nella stessa riportato non corrispondeva a quello richiamato in contabilità.

Gli elementi sui quali i giudici di appello hanno fondato il loro giudizio non attengono in realtà ad irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, così gravi e reiterate da giustificare il ricorso all’accertamento induttivo <<puro>>, ma afferiscono piuttosto ad elementi esterni che prescindono dalle risultanze delle scritture contabili.

Infatti, gli errori formali commessi nell’indicazione dell’attività prevalente del socio M.M. e nella compilazione dello studio di settore relativamente al valore dei beni strumentali, il cui importo non corrisponde a quello indicato nella contabilità, possono rilevare ai fini dell’attendibilità di quanto riportato in sede di dichiarazione dei redditi, ma non derivano da una omessa o non corretta tenuta della contabilità e comunque non integrano omissioni o false e inesatte indicazioni nelle scritture contabili.

Parimenti, la antieconomicità della condotta tenuta dalla società, basata dall’Agenzia delle Entrate sulle perdite di esercizio rilevate nell’anno oggetto di accertamento e negli anni di imposta precedenti, non riflette una automatica irregolarità nella tenuta delle scritture contabili.

E’ pur vero che l’imprenditore è sempre mosso da criteri di logica economica finalizzati ad ottenere il massimo profitto con il minimo costo, cosicché è ragionevole il sospetto che l’esercizio dell’attività di impresa in costante perdita possa in realtà occultare una eventuale evasione d’imposta, ma trattasi di circostanza che di per sé non vale a far ritenere del tutto inattendibile la contabilità.

In difetto di plurime e gravi irregolarità nella tenuta della contabilità, deve ritenersi, diversamente da quanto affermato dai giudici di appello, l’erroneità del ricorso, da parte dell’Amministrazione finanziaria, al metodo induttivo <<puro>> ai fini della rideterminazione del reddito d’impresa.

4.4. L’erroneo criterio di accertamento del reddito non può, tuttavia, comportare l’annullamento dell’atto impositivo, dovendo comunque il giudice di merito decidere nel merito sulla pretesa fiscale.

Sul punto si è reiteramente affermato che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di <<impugnazione annullamento>>, ma tra i processi di <<impugnazione-merito>>, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio, sicché, qualora si ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di carattere sostanziale, e non per motivi formali, la pretesa tributaria deve essere esaminata nel merito ed il giudice tributario non può sottrarsi alla esatta determinazione dell’importo dovuto dal contribuente, entro i limiti delle domande proposte dalle parti (Cass. n. 24611 del 19/11/2014; Cass. n. 19750 del 19/9/2014; Cass. n. 6918 del 20/3/2013).

5. Con il terzo motivo le parti ricorrenti denunciano, in relazione al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, 53 Cost. e 2697 cod. civ.

Sostengono che il giudizio espresso dai giudici di appello non è conforme alle disposizioni normative richiamate in rubrica laddove, da un lato, ritengono priva di valenza probatoria la circostanza che le percentuali di ricarico siano state individuate dall’Agenzia delle Entrate con una semplice media aritmetica anziché con una media ponderata e, dall’altro, che tali percentuali di ricarico siano state determinate sulla scorta delle fatture di acquisto e di vendita afferenti ad un diverso anno d’imposta rispetto a quello oggetto di accertamento.

In particolare, evidenziano di avere prodotto in giudizio in relazione a ciascuna tabella di sintesi dei calcoli effettuati dall’Agenzia delle Entrate delle <<contro-tabelle>>, alle quali sono state accluse le fatture di acquisto e di vendita, in cui avevano evidenziato gli errori eseguiti dai verificatori e contestato le percentuali di ricarico determinate dall’Agenzia delle Entrate, in quanto il calcolo del ricarico medio esprimeva una media aritmetica, pur in presenza di tipi di merce rientranti in categorie omogenee, ma con notevole differenza di valore.

Contestano ai giudici di appello di avere giudicato irrilevante ai fini del decidere le contestazioni e le prove offerte, pur a fronte di una attività difensiva dell’Amministrazione finanziaria che non aveva addotto alcun elemento di prova di segno contrario.

6. Con il quarto motivo censurano la decisione impugnata, ai sensi dei nn. 4 e 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., per insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo, ossia sull’avvenuta dimostrazione, da parte dei contribuenti, dell’infondatezza della ripresa in quanto basata su percentuali di ricalcolo conteggiate in modo non corretto, nonché per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ.

Ribadiscono che i giudici di appello hanno ritenuto legittime le percentuali di ricarico individuate dall’Agenzia delle Entrate, senza avvedersi che il valore dei beni commercializzati all’interno della stessa categoria era differente, ed hanno fondato la decisione su un generico giudizio di congruità del campione esaminato, omettendo qualsiasi riferimento alle molteplici censure mosse dai contribuenti.

7. Il quarto motivo di ricorso, nella parte in cui si deduce un vizio totale di motivazione, è infondato.

La Commissione regionale, motivando che <<il campione esaminato per la ricostruzione dei ricarichi non solo è altamente rappresentativo della realtà aziendale, ma è altresì frutto dei dati presentati dalla società nel quadro D dello studio di settore nel quale essa è tenuta ad indicare i prodotti merceologici venduti per classi omogenee con relative percentuali», ha chiaramente espresso una valutazione di congruità delle percentuali di ricarico adottate dall’Agenzia delle Entrate e ritenuto, di conseguenza, corretta la metodologia di calcolo.

Così argomentando, ha sicuramente esplicitato le ragioni poste a base del proprio convincimento e, pertanto, non è configurabile il vizio di motivazione apparente e i profili di apodicitticità della motivazione, pure lamentati con il mezzo in esame, non possono determinare nullità processuale denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.

7.1. Deve, piuttosto, verificarsi se il quarto motivo come formulato possa integrare vizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.

Occorre rammentare che, dopo la modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla legge n. 134 del 2012, applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata successivamente alla data del 11 settembre 2012 di entrata in vigore di detta norma modificativa, è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte il vizio di mera insufficienza o di contraddittorietà della motivazione per inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, qualora dalla sentenza sia comunque possibile trarre la premessa in fatto e la conseguenza in diritto che giustifica il decisum.

Per effetto della nuova formulazione del vizio di legittimità, la censura deve essere limitata alla sola ipotesi di <<omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti>>, per cui, al di fuori di tale omissione, il controllo deve essere esclusivamente volto a verificare la esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto <<minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., ricollegabile alle ipotesi di <<mancanza della motivazione» quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, <<motivazione apparente», <<motivazione perplessa od incomprensibile>>, che integrano la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e determinano nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.

7.2. Il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. può, dunque, essere dedotto solo in caso di omesso esame di un <<fatto storico» controverso, che sia stato oggetto di discussione e appaia <<decisivo>> ai fini di una diversa soluzione, essendo precluso impugnare la sentenza per criticare il percorso argomentativo adottato dal giudice di merito sulla base di una valutazione degli elementi fattuali acquisiti, da questi ritenuti determinanti oppure non pertinenti (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014; Cass. Sez. U, n. 19881 del 22/9/2014; Cass. n. 11892 del 10/6/2016); ne consegue che esula dal vizio di legittimità di cui al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. qualsiasi contestazione volta a criticare il <<convincimento>> che il giudice si è formato all’esito dell’esame del materiale probatorio previa valutazione della sua attendibilità ed operando un giudizio di prevalenza.

7.3. Con la doglianza in esame i contribuenti sostengono che i giudici di secondo grado, nell’operare una valutazione in merito alla scelta delle modalità di calcolo della percentuale di ricarico applicabile alla merce venduta, effettuata dall’Agenzia delle Entrate in sede di verifica, non abbiano adeguatamente tenuto conto di tutti gli elementi di prova contraria dagli stessi offerti al fine di dimostrare l’erroneo ricorso dell’Amministrazione al ricalcolo del margine di ricarico mediante la media aritmetica semplice.

7.4. Questa Corte ha condivisibilmente affermato che la scelta del diverso calcolo della percentuale di ricarico applicata ai generi venduti, mediante <<media aritmetica semplice>> (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita di alcuni generi merceologici) ovvero <<mediante media aritmetica ponderata>> (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dall’impresa), non costituisce oggetto di specifica previsione legislativa, per cui deve escludersi che la scelta dell’uno piuttosto che dell’altro possa integrare una violazione di norme di diritto (Cass. n. 14576 del 20/11/2011; Cass. n. 26312 del 16/12/2009).

La scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve, tuttavia, rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento, essendo consentito il ricorso al criterio della <<media aritmetica semplice>> in luogo della <<media ponderale>> quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (Cass. n. 10148 del 28/4/2010; Cass. n. 17952 del 2013 cit.; Cass. n. 3197 del 11/2/2013; Cass. 26167 del 6/12/2011).

Sulla valutazione della correttezza della scelta adottata dall’Amministrazione incide anche la congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di acquisto e di rivendita, dovendosi fare riferimento tendenzialmente a tutte le merci commercializzate dalla parte contribuente o, comunque, ad un gruppo significativo, per qualità e quantità, dei beni oggetto dell’attività d’impresa (Cass. n. 18695 del 13/7/2018; Cass. n. 4132 del 2/3/2015; Cass. n. 6849 del 20/3/2009), anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (Cass. n. 6086 del 13/3/2009).

7.5. Nel caso in esame, a fronte delle puntuali contestazioni dei contribuenti – ritrascritte nel ricorso per cassazione – sull’erroneo ricorso della Agenzia delle Entrate al ricalcolo del margine di ricarico mediante la media aritmetica semplice e della produzione di tabelle, che sono state riprodotte nel ricorso per cassazione in omaggio al principio di autosufficienza, il giudice di merito si è limitato ad esprimere un mero giudizio di congruità del campione selezionato, tralasciando di verificare, sulla base dei dati acquisiti e delle risultanze probatorie complessivamente emerse nel corso del giudizio, se effettivamente, come sostenuto dai contribuenti, il valore dei beni commercializzati all’interno della stessa categoria fosse differente, trattandosi di fatto rilevante e decisivo ai fini della formulazione del giudizio di fondatezza della ripresa a tassazione, e, quindi, idoneo a condurre ad una diversa soluzione della controversia.

La sentenza appare dunque viziata nel percorso argomentativo seguito per pervenire alla conferma della pretesa tributaria e incorre nel vizio di motivazione denunciato che, per come formulato, si pone entro i limiti del paradigma normativo del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.

L’accoglimento del quarto motivo consente di ritenere assorbito il terzo motivo di ricorso.

6. In conclusione, accogliendo il primo motivo, il secondo motivo e il quarto motivo nei limiti di cui in motivazione, assorbito il terzo motivo, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, il secondo ed il quarto motivo nei limiti di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.