Corte di Cassazione ordinanza n. 21657 depositata l’8 luglio 2022
processo tributario – thema decidendum
RILEVATO CHE:
– la D.A. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 4 maggio 2015, e, in accoglimento dell’appello erariale, ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa dalla contribuente per l’anno 2010, rideterminando il reddito di impresa previa contestazione di ricavi non contabilizzati;
– il giudice di appello ha riferito che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso della società in considerazione della inidoneità del criterio della media aritmetica dei ricavi conseguiti in anni diversi a determinare i ricavi dell’anno oggetto di accertamento, in assenza di un riferimento al costo del venduto;
– ha, quindi, accolto il gravame interposto ritenendo corretto il criterio utilizzato dall’amministrazione finanziaria nella determinazione dei maggiori ricavi della contribuente, avuto riguardo, da un lato, all’inattendibilità del dato rappresentato dal costo del venduto e, dall’altro, alla utilizzabilità, quale elemento presuntivo, dei ricavi dichiarati con riferimento a periodi di imposta precedenti;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 p.c.;
CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 22, primo comma, e 53, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver la Commissione regionale omesso di dichiarare l’inammissibilità dell’appello, notificato a mezzo del servizio postale, benché non fosse stata prodotta in giudizio la ricevuta della spedizione dell’atto e l’avviso di ricevimento, dal quale risultava che il tutto era stato spedito in data 9 ottobre 2014, era privo di fede privilegiata in assenza di attestazione da parte dell’ufficiale postale;
– il motivo è infondato;
– la notificazione dell’appello è avvenuta mediante messo notificatore, il quale ha provveduto all’adempimento avvalendosi del servizio postale;
– il messo ha provveduto a redigere relata della notificazione effettuata ivi affermando che l’atto notificato è stato spedito in data 9 ottobre 2014;
– siffatta affermazione, in quanto inerente le formalità della notifica fa piena fede fino a querela di falso, al pari di quelle compiute dall’ufficiale giudiziario (cfr. Cass. 13 febbraio 2008, n. 3433);
– pertanto, l’avvenuto deposito dell’avviso di ricevimento dell’appello, accompagnato dall’asseverazione del messo comunale in ordine alla data di spedizione dell’atto, osta alla invocata declaratoria di inammissibilità del gravame (cfr., in tema, Cass., Sez. Un., 29 maggio 2017, 13452);
– con il secondo motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 57, d.lgs. n. 546 del 1992, per aver la Commissione regionale implicitamente disatteso l’eccezione di novità sollevata in relazione all’allegazione dei criteri in base ai quali l’Ufficio ha determinato la percentuale di ricarico del 51% applicata al costo del venduto per la quantificazione dei maggiori ricavi contestati;
– il motivo è infondato;
– diversamente da quanto sostenuto dalla società la specificazione dei criteri in base ai quali l’Ufficio ha individuato la percentuale di ricarico applicata per la determinazione dei maggiori ricavi accertati non costituisce un elemento idoneo ad incidere sul thema decidendum, integrando i fatti costitutivi della pretesa erariale o individuandone un diverso fondamento giuridico, ma si risolve nello sviluppo di una tesi difensiva tesa a confutare la contestazione della società in ordine alla correttezza del valore della percentuale di ricarico;
– con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 2697, 2727 e 2729 e.e., per aver la sentenza impugnata omesso di considerare che l’assenza di scritture contabili attendibili relative al periodo di imposta in esame non consentiva il ricorso all’accertamento analitico-induttivo;
– il motivo è infondato;
– infatti, a fronte dell’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati contenuti nelle scritture contabili, l’amministrazione finanziaria può procedere alla rettifica della dichiarazione mediante accertamento analitico-induttivo, completando le lacune riscontrate e utilizzando, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, presunzioni anche semplici, aventi i requisiti di cui all’art. 2729 e.e. (cfr., da ultimo, Cass., ord., 2 novembre 2021, n. 30985; , ord., 14 ottobre 2020, n. 22184; Cass., ord., 18 dicembre 2019, n. 33604);
– quanto, poi, alla deduzione della ricorrente secondo cui l’Ufficio non avrebbe tenuto conto dell’«impianto contabile societario», la stessa si presenta inammissibile, in quanto indirizzata avverso l’atto impugnato e non avverso la sentenza della Commissione regionale;
– in ogni caso, dalla lettura di quest’ultima si evince che le scritture contabili sono state prese in esame ai fini della rideterminazione dei ricavi, la quale è stata effettuata tenendo conto di alcuni degli elementi contabili, quali quello rappresentato dal costo per il personale e il costo per l’acquisto delle materie vendute;
– per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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